Il talento del ‘68, chi se lo scorda!
Un’altra storia Davvero, come ha scritto Gramellini, quel periodo ebbe il demerito gigantesco di umiliare l’estro? Non scherziamo...
Fa strano la frase, centrale per importanza, apparsa sul Corriere della
Sera del 26 aprile nella rubrica di prima pagina di Massimo Gramellini (titolo del pezzo: “Maturità alla memoria”). La riporto integralmente: “Quel briciolo di memoria che mi rimane basta a ricordarmi che la guerra al nozionismo e la sfiducia nelle autorità (“Uno vale uno”) non le ha inventate Grillo, ma il Sessantotto, che tra i suoi numerosi meriti ebbe però il demerito gigantesco di umiliare il talento e lo sforzo in nome di una falsissima idea di uguaglianza ”. Lasciato da parte Grillo, occupiamoci del Sessantotto, puntando la lente sulla scuola.
Echiediamoci se è vero che il Sessantotto abbia avuto il demerito gigantesco di umiliare il talento ecc. Talento che dovrebbe svilupparsi proprio a scuola. Faccio un passo indietro, da testimone diretto ( nato nel 1942), mentre Gramellini è del 1960, sicché, avendo un anno quando io ho finito il liceo classico e otto anni nel 1968, può essere considerato solo un testimone indiretto.
LA SCUOLA SUPERIORE degli anni Cinquanta e primi Sessanta era quella della paura: il mio prof di Greco rendeva i compiti in classe partendo dal voto più basso; quello di Filosofia ti interrogava e ti interrogava di nuovo a sorpresa il giorno dopo. Gli studenti avevano diritto di parola soltanto con l’ottimo prof di Italiano Attilio Polvara, l’unico a incentivare i talenti e a lodare per i risultati ottenuti ( sia chiaro: se non lodato quando se lo merita, lo studente non cresce). Si incameravano soprattutto nozioni su nozioni senza rifletterci sopra (e questo è il nozionismo, da non confondersi con la nozione in sé). Portò invece, il Sessantotto, un’ar i a nuova. Finalmente gli studenti potevano dire la loro ed esprimere giudizi sugli insegnanti (non cosa da poco) fino a quel momento considerati tabù, e potevano eserci-
Chi è
tare le loro potenziali qualità di riflessione e elaborazione. Nel 68/69, nello scientifico Frisi di Monza, i miei alunni, opportunamente addestrati, organizzavano, divertendosi anche, gruppi di studio sui canti di Dante, di cui poi riferivano in classe. La cultura deve portare gioia, non paura e lutto. Le interrogazioni erano dialogo, e non inquisizioni. Si potrebbe obiettare che nel 68/69 la contestazione non aveva ancora toccato la provincia, ma non è così: la diffusione di un nuovo spirito di ribellione alle ingiustizie della scuola e della società si diffondeva a macchia d’olio, frammentandosi tuttavia, in mille realtà diverse e mille comportamenti diversi.
SI POTREBBEanche sostenere che ci siano stati tanti Sessantotto, che rendono un’impresa studiare il feno- meno nella sua globalità. Occorrerà forse distinguere fra i due poli opposti. Da un lato i licei classici, dall’altro gli istituti professionali. Questi ultimi, drasticamente trascurati dal legislatore e abbandonati a se stessi e cenerentole nella scelta delle cattedre da parte degli insegnanti. Come accadde anche per buona parte degli istituti tecnici. Fu lì soprattutto che emersero le contraddizioni del Sessantotto, la pretesa del 6 politico, il poco conto in cui veniva tenuta la formazione dell’individuo, e più avanti il culto idiota del libretto di Mao. Quanto a me, ho attraversato esperienze differenti: al classico Carducci di Milano, ho avuto come colleghi fior di scrittori come Salvatore Guglielmino, celebre per la sua Guida
al Novecento, Fabietti e Camera, autori di notissimi manuali di Storia. E, ancora, lo storico dell’arte Vedovello, il grecista Salvatore Rizzo. Nomi che gli studenti, anche i contestatori, non dimenticano. Prof onorati e rispettati.
ENTRÒ in quegli anni nelle scuole superiori la ventata della cultura europea, Adorno e i francofortesi, Benjamin, Spitzer e Auerbach. Si leggeva molto, si discuteva. Si andava in gruppo al cinema: Godard, Truffaut, Losey, il grande Glauber Rocha. I talenti, se c’erano, venivano sviluppati e come. Il disastro è cominciato dal 1976 e arriva sino a oggi: la cultura ha perso via via peso, la scuola è andata al traino della degenerazione di una società, che ha avuto una spinta decisiva negli anni Ottanta. È il culto, ormai imperante, del denaro facile e de ll’immagine a umiliare, oggi, i talenti, che, infatti, cercano di emigrare all’estero. È la crescente povertà del Paese, dove solo i ricchi non piangono. È il mito, alimentato dalle tivù commerciali sin dagli anni Ottanta, del successo ottenuto con disinvolte scorciatoie. Non colpa del Sessantotto, a cui è troppo comodo attribuire tutti i mali del presente.
LA NUOVA SCUOLA
Si discuteva, si potevano giudicare gli insegnanti
È oggi che l’ingegno è umiliato, con i cervelli in fuga MASSIMO GRAMELLINI
Il Sessantotto tra i suoi numerosi meriti ebbe però il demerito gigantesco di umiliare il talento e lo sforzo in nome di una falsissima idea di uguaglianza