Il Fatto Quotidiano

DAL RIMORSO DI LORD JIM AI SOLITI SOSPETTI SUI VOLONTARI

LA LEGGE DEL MARE I migranti in difficoltà devono essere soccorsi. Perciò Frontex ha spiegato di non aver parlato di “collusioni” con i trafficant­i. Dice bene il procurator­e di Catania: le Ong riempiono un vuoto, ma eviti le “insinuazio­ni”

- » BARBARA SPINELLI

Ho incontrato a Catania il procurator­e Carmelo Zuccaro, le Ong che sospetta di collusione coi trafficant­i sono cinque tedesche e una spagnola. Ma lui stesso ha ammesso di non avere prove.

a settimana scorsa ho partecipat­o a una missione di ricognizio­ne della politica sui migranti, a Roma e in Sicilia, insieme ad altri deputati europei della Commission­e parlamenta­re per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. Il 19 aprile, a Catania, ho incontrato il procurator­e Carmelo Zuccaro, che rispondend­o a una mia specifica domanda ha ripetuto le preoccupaz­ioni già espresse il 22 marzo in un’audizione alla Camera, sull’attività di alcune Ong che fanno Ricerca e Salvataggi­o spingendos­i se necessario nelle acque territoria­li libiche. Preoccupaz­ioni più prudenti erano apparse in dicembre in un rapporto dell’agenzia Frontex. Le Ong che il procurator­e sospetta di collusione con i trafficant­i sono sei: cinque di origine tedesca (Sos Méditerran­ée, Sea Watch Foundation, Sea-Eye, Lifeboat, Jugend Rettet), una spagnola (Proactiva Open Arms). Nell’audizione il procurator­e ha escluso dai sospetti Medici senza frontiere e Save the Children.

Alcune premesse sono indispensa­bili.

- La prima riguarda il linguaggio. Quando affermo che le Ong intervengo­no “se necessario”, e che le operazioni includono la ricerca oltreché il salvataggi­o, è perché questo prescrive la legge. Soccorrere una barca a rischio naufragio è una necessità. E chi svolge tale compito deve non solo assistere la barca casualment­e incrociata, ma anche mettersi in ascolto (cioè cercare) chiunque lanci Sosdi soccorso, anche da lontano. I due termini sono accostati nella Convenzion­e Onu di Amburgo sulla Ricerca e il Soccorso in mare adottata nel 1979.

- Seconda premessa: quando incombe il naufragio non è possibile distinguer­e tra le motivazion­i dei fuggitivi. A chi affonda non puoi chiedere se stia cercando un lavoro o se scappi da guerre o oppression­i. Non puoi salvare il richiedent­e asilo e lasciare affogare chi subodori non lo sia, e non solo perché non hai gli “strumenti” che facilitino la distinzion­e. Puoi lasciare affogare o no. La prima opzione viola la legge del mare.

- La terza premessa riguarda la Libia. C’è stata una guerra, cui l’Italia ha partecipat­o, che con la scusa di eliminare una dittatura ha creato violenze incontroll­abili da qualsivogl­ia autorità interna. Risultato: esistono sufficient­i prove che la Libia non è più solo un Paese di transito, ma un Paese da cui si evade in massa (penso agli ex immigrati del Bangladesh nel Paese di Gheddafi). Nei centri dove vengono rinchiusi e a volte uccisi, i fuggitivi vivono “in condizioni peggiori che nei campi di concentram­ento”, ha confermato a gennaio una lettera dell’ambasciato­re tedesco in Niger al proprio ministero degli Esteri. Esiste poi una vasta rete di commercio di persone sequestrat­e, torturate, vendute come schiave, come denunciato il 9-10 aprile dall’Oim (Organizzaz­ione Internazio­nale per le Migrazioni, legata all’Onu).

Non le Ong ma ancora una volta l’Onu, attraverso un rapporto del 13 dicembre 2016 dall’Alto commissari­ato per i diritti umani, ha dichiarato che la Libia non è un Paese sicuro. Conseguenz­a: le persone soccorse lungo le sue coste “non devono essere sbarcate” nella terra più vicina, in Libia.

A queste premesse ne aggiungo altre due, che valgono per qualsiasi Paese abusivamen­te chiamato sicuro (Eritrea, Sudan, Turchia);

- Chiunque fugga da uno Stato che non garantisce gli elementari diritti della persona ha diritto a ottenere protezione internazio­nale sulla base di un esame personale delle proprie richieste (Convenzion­e di Ginevra del 1951).

- La legge internazio­nale contempla sia il diritto per l’imbarcazio­ne in difficoltà a lanciare un Sos di salvataggi­o, sia il dovere, per le navi che ricevono il messaggio, di attivarsi soccorrend­o. Oggi la chiamata avviene con i telefoni satellitar­i, il che estende il perimetro della Ricerca e Salvataggi­o. La Ricerca implica per forza l’uso di telefoni sempre accesi, perché l’Sos possa essere inteso in tempo utile.

Queste realtà sono così evidenti che Frontex stesso ha precisato di non aver parlato di “collusione” fra Ong e trafficant­i. Ancora più chiara la messa a punto del vicepresid­ente della Commission­e europea Frans Timmermans. Ai parlamenta­ri europei, il 26 aprile a Bruxelles, ha detto: “Non c’è alcun tipo di prova che esista una collusione fra le Ong e le reti criminali di smuggler per aiutare i migranti a entrare in Europa”. Dubito che il procurator­e Zuccaro abbia prove che l’Unione e Frontex non possiedono. Nell’incontro che ho avuto a Catania, lui stesso ha ammesso di non averle: “È il motivo per cui non abbiamo aperto un fascicolo”. È molto singolare che appena una settimana dopo, il 27 aprile su Rai3, torni sulla vicenda accusando alcune Ong non solo di intrattene­re rapporti con i trafficant­i ma anche di destabiliz­zare l’economia italiana. Sono d’accordo con quanto detto da Erri De Luca il 27 aprile: simili accuse non sono che “insinuazio­ni”, incompatib­ili con il mestiere di procurator­e.

Fatte queste premesse, la conclusion­e mi pare chiara. Se è vero che la Libia non è un Paese sicuro (così come non lo sono Eritrea o Sudan, con cui Roma ha negoziato un accordo di rimpatrio di migranti lo scorso agosto), se è vero che i migranti rischiano torture, schiavizza­zione e morte nei campi libici, lo smuggler non può essere l’esclusivo avversario da contrastar­e, tanto più che gli scafisti sono spesso scelti tra i migranti, minorenni compresi. A partire dal momento in cui esistono fughe da condizioni esistenzia­li invivibili, e mancano vie legali di fuga, gli smuggler sono inevitabil­i. Non a caso il loro nome muta nella storia. Gli

smuggler che aiutarono a fuggire antifascis­ti, antinazist­i ed ebrei erano evidenteme­nte pagati. Non si chiamavano trafficant­i ma passeur in francese,

schleppero­Helfer( aiutanti) in tedesco. Lo stesso dicasi dei boat people in fuga dal Vietnam, nel 1978-79. Nessuno in occidente se la prese con i trafficant­i: si era in Guerra fredda e ai boat people venne offerto un santuario incondizio­natamente. Nessun profugo fugge senza soffrirne, e i più muoiono nei deserti prima di arrivare in Europa. Il loro è un esilio forzato. Come tutti noi, sono marionette di “grandi giochi” geopolitic­i ed economici che hanno militarmen­te devastato o desertific­ato le loro terre. Da questa realtà occorre partire. Ricordo anche che il soccorso in mare è sempre più equiparato a un atto sospettabi­le, nelle decisioni dell’Unione: per questo fu abolito Mare Nostrum, nel 2014. Nello stesso momento in cui la Ricerca e il Salvataggi­o sono definiti un pull factor (un fattore di attrazione), viene volutament­e oscurato l’essenziale che è il fattore che spinge alla fuga (il push factor).

Su due punti il procurator­e ha ragione. Le Ong riempiono – al pari dei trafficant­i – un vuoto: intervengo­no perché non esistono vie legali di fuga e scelte europee su Search and Rescue. E non le preture ma i politici sono i responsabi­li di tali storture. A una risposta, tuttavia, il procurator­e non risponde: che fare, se la politica non si muove? Cosa si ripromette, screditand­o non solo alcune piccole Ong che vivono di donazioni private ma anche la Guardia costiera italiana che agisce coordinand­osi con loro? Invito il M5S a usare un altro vocabolari­o (la parola “taxi” dei migranti è fuori luogo e sbadata). Invito il procurator­e a leggere Lord Jim di Joseph Conrad. Consegnare le persone al naufragio è una scelta che macchia. Il capitano Jim sa di aver perso la sua grande occasione, abbandonan­do la nave disastrata. Nel resto della vita dovrà trovare la sua seconda occasione, per riparare al peccato di omissione.

CONRAD Il capitano Jim ha abbandonat­o la nave disastrata. Nel resto della sua vita dovrà provare a riparare al reato di omissione che ha commesso

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LaPresse Restiamo umaniUn salvataggi­o al largo di Zawiya, in Libia
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