Crisi, cassa e licenziamenti: la festa al lavoro che non c’è
Futuro nero Il ministero non dà numeri sulle persone (sono migliaia), ma le vertenze (152) sono aumentate dall’anno scorso Tutti i settori in ginocchio
Nell’ultimo anno sono aumentati i tavoli di crisi aziendale in corso al ministero dello Sviluppo economico: erano 145 a giugno 2016, oggi sono 152. Il segno delle difficoltà che ancora affronta l'industria italiana. In ogni vertenza sono centinaia, a volte migliaia, i lavoratori coinvolti che stanno quindi vivendo con un futuro incerto. Per molti c'è il rischio reale di perdere il posto, con sindacati e ministero all'opera per assicurare la cassa integrazione al personale in esubero. In altre vicende si lotta contro esternalizzazioni e c'è pure qualche tavolo attivo per cercare prospettive di rilancio industriale per fabbriche dismesse. Un mondo eterogeneo, perciò l'Unità di gestione presente al ministero non diffonde il numero esatto di lavoratori coinvolti: in Via Veneto si teme una semplificazione della statistica. Certo è che ammontano a diverse decine di migliaia, visto che l'ufficio ministeriale interviene quando le persone a rischio sono almeno 200. Si tratta di grandi imprese; quelle piccole e medie vengono gestite a livello locale. Solo quando costituiscono un distretto oppure quando fanno parte dell'indotto della principale finiscono nei dossier romani. La mediazione del governo, però, spesso non garantisce il lieto fine.
TRASFERIMENTI. Le trattative per salvare la K- f l ex di Roncello (Monza) non hanno prodotto risultati e tre giorni fa sono partite 187 lettere di licenziamento. Questi operai sono vittime di un trasferimento in Polonia – in Brianza resteranno solo 60 impiegati - da parte della multinazionale italiana degli isolanti, che si è espansa fino all'Asia anche grazie ad aiuti pubblici. La Simest, società di Cassa depositi e prestiti, è infatti entrata nel suo capitale e lo stesso ministero dello Sviluppo ha in passato concesso prestiti agevolati. Per questi lavoratori, l'unica speranza è il ricorso al Tribunale che si esprimerà giovedì. L'azienda, infatti, si era impegnata a dicembre a non ridurre il personale; il dietrofront potrebbe costituire un comportamento antisindacale.
Le delocalizzazioni sono un filo rosso. A pagarne le spese sono stati soprattutto i call center. Almaviva, stretta nella morsa di imprese concorrenti che portando fuori dalla Ue i centralini hanno risparmiato sul costo del lavoro, ha mandato a casa 1.700 addetti a Roma lo scorso Natale. Ci sono poi i circa 350 di Gepin i quali sperano che a giugno il Consiglio di Stato assegni una gara di Poste Italiane all'azienda che si è impegnata ad assumerli tutti con la clausola sociale; altrimenti rischiano pure loro il licenziamento. Nemmeno il made in Italy è al sicuro: a Settimo Torinese la Giorgio Armani Operations, con sedi anche in Bulgaria, ha annunciato 110 esuberi (su 184 dipendenti del sito).
Un capitolo a parte merita la storia di Alitalia. Una compagnia aerea perennemente sull'orlo del baratro che sperava di potersi salvare anche sulla pelle dei dipendenti. Il piano con stipendi tagliati, cassa integrazione per 980 e 550 precari da mandare a casa a fine con- tratto è stato rigettato dal referendum interno. Ora la nebbia avvolge tutti i 12 mila lavoratori del vettore italiano (partecipato da Etihad).
L’ACCIAIO. Il settore dell'acciaio, inoltre, continua a essere un'incognita. Le due cordate interessate a rilevare l'Ilva promettono garanzie per gli 11 mila addetti di Taranto, ma si chiudono nel segreto della procedura quando c'è da essere precisi sui livelli occupazionali. Tra l'altro, chiunque acquisirà la fabbrica troverà 3.300 operai già in cassa integrazione. Diversa la situazione dell'A fe rp i di Piombino: le promesse di rilancio troppo vaghe dell'alge- rino Issad Rebrab tengono in ansia 2.200 operai ancorati a quel progetto. Il governo ha dato un ultimatum al magnate, a giorni si saprà se si dovrà trovare un nuovo partner.
MANIFATTURA. Dal l'industria pesante alla manifattura, passando per trasporti e servizi, saranno dunque in tanti a trascorrere un primo maggio con la paura che sia l'ultimo da occupati. A questi, si aggiungono quelli che un lavoro ancora non lo hanno trovato: sono sempre tre milioni, secondo la rilevazione dell'Istat di febbraio 2017 che attesta all'11,5% il tasso di disoccupazione in Italia.
Flop Jobs Act
Dalle promesse non mantenute a chi se ne va fuori dall’Europa E la riforma non aiuta