“Scattare foto non è reato, ma mio fratello marcisce in prigione”
Arrestato nel 2013 in piazza Rabaa, il freelance attende ancora il processo
Shawkan, il signore dello show. Così lo hanno ribattezzato, storpiando il soprannome, amici e i colleghi. Lui, Mahmoud Abu Zeid, 28 anni, professione fotoreporter, era in piazza Rabaa, al Cairo, il 14 agosto del 2013, per documentare – per conto dell'agenzia Demotix – la protesta dei Fratelli Musulmani del deposto presidente Mohamed Morsi contro il colpo mano del generale Al-Sisi. Da quel giorno, Shawkan è in prigione per un lungo elenco di accuse, tutte da provare: adesione a un’organizzazione criminale, omicidio, tentato omicidio, partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, tentativo di rovesciare il governo attraverso l’us o della forza, resistenza a pubblico ufficiale. Le udienze per trattare il caso sono state rinviate, mese dopo mese: l’ultima l’8 aprile, la prossima dovrebbe tenersi il 9 maggio.
Il padre del fotografo, Abdul Shakur, 70 anni, stringe la foto del figlio al petto. A parlare, nella casa della famiglia Abu Zeid a Faysal, governatorato di Giza, è il fratello maggiore di Shawkan: Mohamed, 34 anni, archeologo.
Cosa ricordi di quel giorno? In tv mostravano gli scontri di piazza Rabaa, ci siamo preoccupati. La sera prima Mahmoud era passato da casa e aveva preso la sua attrezzatura. Ho iniziato a chiamarlo, senza successo. Sono andato alla stazione di polizia di Nasr City, ma erano troppo occupati.
Quindi?
Ho girato tutte le caserme. Il Cairo ne ha decine. Alle due del pomeriggio del 15 agosto Shawkan mi ha chiamato: ‘Sono in arresto allo stadio nazionale. Non venire o prenderanno pure te’. In quei giorni Al-Sisi aveva promulgato la legge marziale, vigeva il coprifuoco.
Dove lo hai trovato?
Non l’ho trovato. Quando mi diceva una caserma andavo lì e intanto lo avevano spostato altrove. Sono passati giorni, settimane, mesi. A novembre siamo riusciti a incontrarlo nella prigione di Tora, dove si trova ancora adesso.
In che condizioni è tuo fratello?
Sta male, rischia di morirci lì dentro. In questi anni ha contratto l’epatite C, soffre di anemia, malnutrizione, depressione e gli mancano le cure basilari. Soprattutto è arrabbiato, ancora arrabbiato come i primi giorni.
Perché, a tuo parere, la sua detenzione è ingiusta?
Lui con la Fratellanza Musulmana non c’entra nulla, non ne ha mai fatto parte e non gli interessa la politica. Invece il suo caso è diventato politico. Quel giorno aveva ottenuto tutti i permessi dal governo per fare il suo lavoro. Le sue macchine fotografiche, il cellulare, è sparito tutto.
Era il solo fotogiornalista quel giorno in piazza?
No, erano in tanti a scattare foto. Molti sono stati presi e rilasciati nei giorni successivi, meno tre, tra cui mio fratello.
Che fine hanno fatto gli altri due?
Sono rimasti a lungo in prigione, tra loro c’era pure un corrispondente egiziano di Al Jazeera, poi sono tornati in libertà. Aya Hegazy, attivista con doppia cittadinanza, egiziana e americana, è stata arrestata e ha subìto lo stesso trattamento, in attesa di processo per tre anni. Pochi giorni fa la Casa Bianca l’ha riportata a casa.
Si è parlato tanto del caso Shawkan, eppure non è servito a nulla...
Tutte le grandi organizzazioni umanitarie lo hanno abbandonato, non ne parla più nessuno fuori dall’Egitto. C’entra qualcosa, in parte, il caso di Giulio Regeni? Vorrei che la verità per la sua morte venisse a galla. Prego per i suoi genitori. Mio fratello almeno è vivo.
Abu con la Fratellanza musulmana non c’entra, ma il suo caso è politico Aveva tutti i permessi e lo hanno preso lo stesso
MOHAMED ZEID