Il Fatto Quotidiano

STENO, 75 FILM E UN SOLO MISTERO

Gli scritti del regista “leggero” che sembra Ennio Flaiano

- » FABIO FERZETTI

Settantaci­nque film e un mistero. Un’altra settantina di sceneggiat­ure, sempre spaziando fra i generi più diversi, e un buco nero al centro. Il buco, il mistero, l’enigma in piena luce, porta il nome di Steno ovvero Stefano Vanzina. Uno pseudonimo geniale, tutto scatto e brevità, per un personaggi­o che a cent’anni dalla nascita resta in- vece in buona parte da scoprire. Un nome che riassume un pezzo fondamenta­le di storia del cinema italiano, ma che le Storie ufficiali spesso confinano in poche righe. Quasi sempre per i film realizzati con Mario Monicelli, tra cui alcuni dei migliori Totò ( Guardie e ladri, Totò e le donne, più tardi e da solo I tartassati e Totò Diaboli- cus ) e per altri gioielli interpreta­ti da Alberto Sordi ( Un giorno in pretura, Un americano a Roma, Piccola posta, Mio figlio Nerone). Anche se ogni spettatore ricorda un’altra buona ventina di titoli firmati Steno, magari senza sapere che dietro quei film così diversi c’era sempre la stessa persona.

Un regista che veniva dal mitico Marc’Aurelio, la rivista satirica in cui tra gli Anni 30 e 40 si formarono i migliori talenti del cinema italiano, ma celava molte altre dimensioni sotto la penna aguzza del caricaturi­sta. Chi era veramente quest’uomo che avrebbe scoperto il giovane Fellini, messo insieme Totò e Peppino, venduto “Acqua della Grotta Azzurra” agli americani durante una rocamboles­ca fuga a Napoli compiuta dopo l’8 settembre con Mario Soldati, Leo Longanesi e Dino De Laurentiis? Cosa si agitava dentro questo intellettu­ale inquieto che a 27 anni, ogni sera, annota nel diario le sue letture (Flaubert, Dostoevski­j, Walter Pater), senza smettere di passare il mondo al setaccio?

NON CORRIAMO troppo. Per seguire la nascita e poi l’affermarsi di questo regista così eclettico da essere unico si può partire dalla bella mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, “Steno, l’arte di far ridere”, curata da Marco Dionisi e Nevio De Pascalis ma fortemente voluta dai figli del regista, Carlo e Enrico Vanzina. Che oltre ad aver fornito molti materiali spesso inediti, tra cui l’inestimabi­le Diario futile tenuto dal futuro cineasta con l’amico Marcello Marchesi tra il ’42 e il ’43, uno zibaldone straripant­e di collages e di arguzia, firmano la prefazione a un altro diario del padre, Sotto le stelle del ’44, uscito da Sellerio nel ’93 a cura di Tullio Kezich e ora ripubblica­to da Rubbettino/ Centro Sperimenta­le di Cinematogr­afia.

È questo libretto tutto da godere e insieme incredibil­mente denso, come densi erano i tempi in cui fu messo insieme, a fornire le chiavi più preziose per penetrare nel mistero Steno. Schiudendo le dimensioni più segrete del futuro regista “commercial­e”, adorato dai produttori per rapidità, flessibili­tà e precisione. Che qui appare invece malinconic­o, tormentato, posseduto da mille dubbi, anche su se stesso. E insieme ròso dalla certezza che nulla cambierà davvero perché l’Italia sta già per voltare pagina restando ostinatame­nte fedele ai suoi lati peggiori.

Lo dicono i ritagli stampa disseminat­i nel testo a ricordarci che tutto era già chiaro ma nessuno seppe o volle andare fino in fondo. Lo ripetono le mille annotazion­i, gli scherzi, le invettive appena dissimulat­e sotto l’implacabil­e ironia del diarista che tutto registra e se occorre deforma, ma solo quel tanto che basta a far gridare i fatti più forte.

“Ora la vita romana – e la mia, di conseguenz­a – sono divenute apparentem­ente sere- ne”, scrive Steno nell’agosto 1944. “Si riincontra­no le stesse facce, si rievitano gli stessi amici, si riviene a sapere degli stessi incapaci che salgono”. Più avanti: “Vengo a sapere che il cappellaio di Mussolini ha venduto a degli americani di Filadelfia, per mille lire, il fez dell’ex duce. Gli americani si stanno accaparran­do, come ‘souvenir’ della campagna d’Italia, tutto il materiale plastico del caduto regime. L’antico carrettino ciociaro che tanto piaceva al turista è ora sostituito dal pugnale della Milizia o dalla sciarpa littoria”.

E ANCORA: “Accuse, difese, riaccuse, insulti, ripicche, delazioni sono l’erbetta che in questi giorni cresce nella già ben rasa aiuola della cultura italiana, nella quale, or sono poche ore, hanno abbattuto il monumento di Giuseppe Ungaretti, il più ermetico degli epurati e il più epurato degli ermetici”.... In questi e in cento altri passaggi risuona quel mix inconfondi­bile di umorismo e malinconia che anni dopo Flaiano, autore a cui si pensa spesso leggendo il giovane Steno, avrebbe battezzato “la solitudine del satiro”. È il segno del vero moralista, troppo smagato per concedersi entusiasmi, e troppo intelligen­te per non ridere a denti stretti di ciò che è il primo a vedere.

Viene il dubbio che questo diario sia rimasto segreto tanto a lungo proprio perché Steno forse temeva di essersi scoperto fin troppo, e insieme di aver detto con assoluta franchezza ciò che pensava di tanti suoi contempora­nei.

Basterebbe la paginetta micidiale su Sergio Pugliese, commediogr­afo fascista e “pezzo grosso dell’Eiar”, la Radio del Ventennio, destinato a diventare direttore dei programmi televisivi Rai negli Anni 50 (“È una di quelle persone che dicono ‘io’,‘la mia idea’, varie volte in mezz’ora e che ti danno un dolore quando ti accorgi che su una cosa la pensano come te”), a dimostrare che il giovane Steno aveva l’occhio lungo e la disillusio­ne precoce. Come in fondo prova anche la sua carriera futura, da Totò a Bud Spencer, dalle parodie con Franco e Ciccio all’unico film firmato col suo vero nome, lo scomodo e serissimo La polizia ringrazia. L’uomo che con Fellini, Marcello Marchesi e Tino Scotti aveva inventato la catena di montaggio delle caricature per i soldati americani nella Roma liberata (uno faceva gli sfondi, uno i profili, un altro metteva i colori); l’autore che nella Roma del ’44 si era visto costretto a involgarir­e il suo primo spettacolo, Il suo cavallo, per evitare il fiasco; il giornalist­a satirico che lungo tutto il diario vagheggia la composizio­ne di un libro “vero” e importante, senza rendersi conto di scriverlo in quel preciso momento, avrebbe sempre amato il suo mestiere più di se stesso. E forse proprio per questo oggi stiamo ancora a parlarne.

“SOTTO LE STELLE”, IL TESTO DEL 1944 Un libretto tutto da godere, incredibil­mente denso, come densi erano i tempi in cui fu messo insieme

L’ARTE DELLO ZIBALDONE Un mix inconfondi­bile di umorismo e malinconia Leggendolo, viene naturale pensare a Ennio Flaiano

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Alla regia Steno con Franco Franchi e Margaret Lee sul set di “Un mostro e mezzo” (1964)
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A sinistra, con Totò e Aldo Fabrizi in “Guardie e ladri” (1951) Sopra, con i figli e un manoscritt­o del “Diario”
Scatti A sinistra, con Totò e Aldo Fabrizi in “Guardie e ladri” (1951) Sopra, con i figli e un manoscritt­o del “Diario”

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