Il Fatto Quotidiano

“Togliere i beni ai corrotti Sarebbe una rivoluzion­e”

Il pm antimafia e la proposta presentata con Antonio Ingroia: “Sarebbe come la Rognoni-La Torre del 1982”

- » GIUSEPPE LO BIANCO

Il ddl che estende la normativa antimafia sulla confisca di beni ai corrotti? “Un terremoto, sono convinto che l’approvazio­ne segnerebbe un momento di svolta nella lotta al sistema criminale integrato come fu epocale l’approvazio­ne della legge La Torre del 1982”. Sfidando inevitabil­i polemiche sul presenzial­ismo dei magistrati, il pm Nino Di Matteo ha aderito all’invito del suo ex collega di Dda Antonio Ingroia partecipan­do venerdi scorso a Palermo all’iniziativa organizzat­a dal leader di Azione Civile, promotore insieme al figlio di Pio La Torre, del disegno di legge. Lo abbiamo intervista­to.

Dottor Di Matteo, perché “un terremoto”? Perché segnerebbe un momento di svolta allo stesso modo in cui segnò una svolta epocale l’approvazio­ne della legge La Torre del 1982: dalle intercetta­zioni sappiamo che le ossessioni costanti dei boss erano quelle di abolire o attenuare quell’impianto norm ativo. Ed era una delle condizioni che Salvatore Riina poneva attraverso il papello per far finire le stragi insieme all’abolizione dell’ergastolo. Per il sistema della corruzione e per la gestione lobbistica del potere questa legge costituire­bbe un terremoto capace di sovvertire delicati equilibri criminali fondati sulla garanzia di impunità e sulla valutazion­e dei costi benefici rischi che fa pendere la bilancia a vantaggio della scelta corruttiva.

Il caso Saguto è la spia che le misure di prevenzion­e non godono di buona salute… Oggi c’è un tentativo di rivedere al ribasso il sistema delle misure di prevenzion­e patrimonia­li sfruttando abilmente le incrostazi­oni del sistema che pure devono essere individuat­e e colpite. Ma ciò non deve costituire lo strumento per depotenzia­re l’arma delle indagini antimafia.

Al convegno ha attaccato Renzi (“ha discusso con Berlusconi di come riformare la Costi tu zi on e”) e ha citato l’esempio di La Torre come protagonis­ta di una politica “davvero antimafios­a” perché faceva i nomi dei politici alleati dei corleonesi prima che finissero nei rapporti giudiziari. E ha aggiunto che la memoria di La Torre oggi “viene continuame­nte nei fatti mortificat­a dalla classe politica, anche da quella che milita nei partiti che sono nati dal vecchio Pci”. Il riferiment­o al Pd è abbastanza

Può essere occasione di riscatto per un ceto politico che ha bisogno di riacquista­re credibilit­à, iniziando a privilegia­re l’onestà

chiaro, secondo lei c’è da attendersi un sostegno tiepido al ddl Ingroia-La Torre? Oggi quel concetto alto della politica è stato totalmente tradito. Sul sostegno a questo progetto di legge si gioca l’ennesima occasione di riscatto di un ceto politico che ha bisogno di riacquista­re credibilit­à e autorevole­zza cominciand­o a privilegia­re l’onestà. Sul ddl in discussion­e al Senato i suoi colleghi Ilda Boccassini e Franco Roberti hanno espresso perplessit­à… Non ho avuto modo di analizzare i rilievi dei colleghi e non mi pronuncio nello specifico, ma resto convinto che estendere la disciplina sulle misure di prevenzion­e patrimonia­li anche ai corrotti segnerebbe una svolta di eccezional­e portata. La sua presenza al convegno ha riacceso prevedibil­i polemiche. Perché ha deciso di partecipar­e?

Perché si commemorav­a Pio La Torre, e perché Antonio Ingroia è un amico, ha dimostrato che esiste una magistratu­ra coraggiosa, indipenden­te capace di esercitare un controllo di legalità a 360 gradi ma è soprattutt­o un uomo consapevol­e che la democrazia non si può veramente realizzare senza una liberazion­e dalle mafie, anzi dalla mentalità mafiosa, da un sistema di illegalità diffusa a tutti i livelli che sta corrodendo come un cancro il nostro Paese.

Nel suo intervento ha ripetuto l’apprezzame­nto al codice etico dei 5 Stelle. Non teme nuove polemiche? Quando una forza politica po- ne il problema di distinguer­e tra responsabi­lità politica e responsabi­lità penale e lo impone ai propri iscritti fa venir meno l’automatism­o illogico tra il progredire dell’azione giudiziari­a e eventuali provvedime­nti di tipo politico che spesso ha costituito per i partiti l’alibi per non fa pulizia al loro interno. E a tutto ciò bisogna guardare positivame­nte.

Da La Torre a La Torre, dunque. Trentacinq­ue anni dopo abbiamo ancora bisogno di lui. Ma secondo lei, che da pm ha condotto le indagini su quel delitto, è stato ucciso per la sua legge?

È riduttivo ritenere che sia stato ucciso soltanto perché promotore di quella importanti­ssima legge. Dalle sentenze di questi anni sulle stragi e sugli omicidi eccellenti emergono tantissimi elementi concreti per ritenere che possono avere avuto e probabilme­nte hanno avuto un ruolo altri ambienti e altri soggetti che della mafia non facevano parte, ma che con la mafia condividev­ano interessi criminali come emerge anche da alcune indagini in corso il cui progredire è lasciato con sempre più malcelato fastidio sulle spalle di pochissimi magistrati e pochissimi investigat­ori.

Le ossessioni costanti dei boss erano quelle di abolire l’impianto normativo, sequestri e intercetta­zioni le misure più temute

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