L’ultima profezia di “Vale”: “Arriverà un altro Marx”
MÈ stato un giornalista e politico italiano. Nato a Tripoli nel 1931, fu cacciato dalla Libia nel 1951 per la sua militanza comunista. A Roma lavora per “L’Unità” e la “Rinascita”: in questi anni lavora anche per il Pci. Nel 1969 contribuisce a fondare “il Manifesto” di cui è stato anche direttore eno di dieci anni fa, nel 2009, disse: “Cosa sarebbe stato di me se non ci fosse stato il Manifesto e fossi rimasto nel Pci? Posso sbagliarmi, ma sarei diventato un burocrate, magari apprezzato e di prestigio. Mi occupavo di economia nella sezione diretta da Eugenio Peggio e guidata da Giorgio Amendola, forse sarei diventato un apprezzato consigliere economico. Ma mai parlamentare. Mai dirigente di federazione”.
A 86 anni, ieri è morto Valentino Parlato. Un altro comunista eretico che se ne va. Meglio: l’eretico più irregolare di quella magnifica frazione che fu il Manifesto all’alba dei cupi Settanta. Scettico. Ironico. Aperto e curioso al punto da mescolare in giudizi non del tutto negativi Enrico Cuccia, Gheddafi e Bettino Craxi. Ai tempi del Pci, Paolo Franchi lo chiamò “amendoliano di sinistra”. Amendoliano nel senso di Giorgio Amendola, il capo della destra interna da cui germinarono i miglioristi di Giorgio Napolitano. Parlato si definiva “il più modesto e moderato” di quel gruppo che portò alla fondazione del quotidiano nel novembre del 1969: “Il gruppo portante era composto di cinque forti individualità, Magri, Castellina, Natoli, Pintor e Rossanda e, tra questi, Natoli era il più autorevole nel Pci”.
SULLA QUESTIONE di quella dolorosa radiazione è tornato in tempi recenti, nel novembre del 2016. Quando cioè alla Leopolda renziana si inneggiò alla cacciata della minoranza bersaniana. Scrisse Parlato sul Manifesto dell’8 novembre: “Sul Corsera di ieri Pierluigi Battista ricorda la radiazione dal Pci del gruppo del Manifesto, che io continuo a condannare ma che fu cosa del tutto diversa dal linciaggio della Leopolda di questi giorni. Vale ricordare che alla nostra radiazione si arrivò dopo un dibattito che investì tutta
VALENTINO PARLATO IL VOTO PER VIRGINIA RAGGI
“Ero talmente indignato verso il Pd che per la prima volta ho tradito la sinistra, spero sia anche l’ultima”
UN COMPAGNO SCETTICO E CURIOSO Spaziava da Cuccia a Craxi passando per Gheddafi. Mao preferibile al socialismo reale dell’Urss di Breznev
l’organizzazione del Pci di allora e ancora che fu una radiazione per dissenso politico e non espulsione per ‘indegnità morale’”. Parole che suonano “unitarie”, quasi senza distinzione, in difesa di una storia che riunisce ortodossia ed eresia. La storia del grande Partito comunista italiano. Altro che renzismo. Del resto, il compagno “Vale” motivò così il suo voto per Virginia Raggi a Roma: “Ero talmente indignato verso il Pd che per la prima volta ho tradito la sinistra, spero sia anche l’ultima”.
Valentino Parlato divenne comunista in Libia, a vent’anni. Era nato a Tripoli nel 1931. Poi l’espulsione decretata dal Protettorato inglese. Gheddafi aveva nove anni. “Sul finire di quella notte di novem- bre del 1951 i poliziotti inglesi entrarono in casa nostra. Erano armati, la perquisirono e mi arrestarono. Io avevo vent’anni. Non appena li vidi, prima ancora che fossero dentro, buttai dalla finestra tutte le pubblicazioni visibilmente comuniste che tenevo in casa. Avevo paura della prigione, e invece quando capii che l’auto militare mi portava in direzione del porto trassi un sospiro di sollievo. Espulsione, non galera”.
UN DESTINO da espulso, sempre nel fatale mese di novembre. Quando Gheddafi fu rovesciato, Parlato confidò: “I libici con Gheddafi avevano l’assistenza sanitaria e il petrolio. Era una dittatura comunque migliore di quel che ci sarà domani in quel Paese”. Una difesa da socialismo reale. Un eretico irregolare, appunto.
Una volta in Italia, il ventenne Valentino va a fare il funzionario del Pci, occupandosi di economia con Amendola. Indi, il giornalismo a Rinascita e soprattutto l’incontro con le due donne del gruppo portante del M a n if e s to : Rossana Rossanda e Luciana Castellina. La “frazione” che il 4 settembre 1969 sull’omonima rivista pubblicò il fatidico editoriale non firmato, ma scritto da Luigi Pintor, intitolato “Praga è sola”. Rottura e radiazione dal Pci. Anche Pietro Ingrao, il loro compagno di frazione, votò a favore. Dirà poi, Ingrao, nel 2005: “È stato il mio errore più grande”. Risponderà Parlato: “Piet ro parla di errore assurdo, ma fu una decisione lucida”. Da allora per quasi mezzo secolo, il Manifesto fu la vita di Parlato, raccontata in due libri. Oltre alle sigarette Pueblo, le cene e il poker. “Quell’eresia fu il tentativo di liberare i partiti comunisti dei vincoli ecclesiastici del cosiddetto comunismo reale”. Liberarli cioè dall ’ Urss di Breznev, guardando con fiducia e speranza alla Cina di Mao, per semplificare. La rivoluzione culturale meglio della burocratizzazione sovietica.
Oggi che la sinistra italiana non ha più una casa grande, l’editoriale di Parlato dello scorso 9 aprile assume valore di testamento e profezia: “Non possiamo non tener conto di quel che sta cambiando: dobbiamo studiarlo e sforzarci di capire, sarà un lungo lavoro e non mancheranno gli errori, ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà”.