La morte dell’arte italiana da Berlusconi a Renzi
Lo chiamavano Belpaese
“IL PAESE dove crescono i limoni”: così Goethe celebrava l’arte e i paesaggi d’Italia, eccellenze di cui oggi siamo privati. Vittorio Emiliani ripercorre la storia recente del nostro paese e individua due colpevoli della decadenza artistica: Berlusconi e Renzi. Il primo ha operato dei “tagli ciechi, pesanti e cruenti”: tra 2008 e 2009 i fondi alla cultura sono stati ridotti del 46,34%. Nel 2009 il bilancio giunse a quota 1,9miliardi (l’anno prima era di 2,3). Mentre Sarkozy investiva 500 milioni di euro in restauri, Bondi in Italia tagliava lo stesso, 498 milioni. Tutto questo a fronte di una crescita esponenziale dell’edilizia. Così il mecenatismo è divenuto “crowdfunding” e l'arte “il nostro petrolio”: già da sindaco, Renzi confuse il Mibact con il ministero dell'Economia, affittando Ponte Vecchio alla Ferrari o definendo gli Uffizi “una potenziale macchina di soldi”. L’ex premier e il suo prode Franceschini hanno privato le Soprintendenze di fondi e posti di lavoro. Secondo il giornalista, Bondi e Franceschini vantano una mala gestione dei terremoti, del 2009 e del 2016, in cui sono andate perse opere fondamentali. Ora spetta al cittadino salvare l’arte pagando un biglietto per tutto: a breve anche al Pantheon, dove riposa Raffaello, ideatore della “tutela”, concetto che sta finendo nella tomba con lui, insieme all’articolo 9 della Costituzione.