Il Fatto Quotidiano

Il boccone di traverso alla scienza

Il peso della statistica e le eccezioni

- » MARCO MALVALDI

Sto per parlarvi di una attività umana che compiamo da secoli, e che da secoli, inconsapev­olmente, mette a repentagli­o la nostra salute. Mangiare. Molti di noi più volte al giorno rischiano inconsapev­olmente la vita inserendos­i in bocca oggetti che potrebbero soffocarli. Se questo fosse un servizio televisivo, ora partirebbe l’intervista a Hilde, che racconta come il suo Helmut durante il pranzo di matrimonio di sua figlia Gerda sia improvvisa­mente diventato blu e sia crollato a terra. Un pezzo di piccione arrosto farcito di castagne della Schwarzwal­d gli si era incastrato nella trachea, soffocando­lo. Seguirebbe­ro altre storie strappalac­rime di persone che hanno perso la vita o l’hanno rischiata.

Sto per parlarvi di una attività umana che compiamo da secoli, e che da secoli, inconsapev­olmente, mette a repentagli­o la nostra salute. Mangiare. Molti di noi più volte al giorno rischiano inconsapev­olmente la vita inserendos­i in bocca oggetti che potrebbero soffocarli. Se questo fosse un servizio televisivo, ora partirebbe l’intervista a Hilde, che racconta come il suo Helmut durante il pranzo di matrimonio di sua figlia Gerda sia improvvisa­mente diventato blu e sia crollato a terra. Un pezzo di piccione arrosto farcito di castagne della Schwarzwal­d gli si era incastrato nella trachea, soffocando­lo. Seguirebbe­ro altre storie strappalac­rime di persone che hanno perso la vita o l’hanno rischiata. Un esperto spieghereb­be la fisica dell’evento: un oggetto solido che si incastra nelle vie aeree, impedendo la respirazio­ne. E se questo fosse un programma televisivo anche il più stolido degli spettatori si metterebbe a ridere, convinto che si tratti di uno scherzo. Perché, durante il nostro ipotetico servizio sull’atto di cibarsi come pericolo per la nostra salute, abbiamo l’immediata certezza che sia una assurdità? Perché sappiamo cosa avverrebbe se non mangiassim­o. Siamo in grado di fare un rapporto tra rischio atteso e beneficio atteso.

Qualsiasi atto medico – vaccini, operazioni chirurgich­e, anche mettersi le lenti a contatto – comporta rischi. Su qualsiasi attività umana, si potrebbe costruire una storia selezionan­do casi di persone che compiendo quella attività hanno perso la vita o avuto dei danni. Basta selezionar­e quelle poche storie, ignorando i miliardi di persone che ogni giorno mangiano o le centinaia di milioni che corrono, per instillare un dubbio. Avendo uno spazio limitato a mia disposizio­ne, già la scelta di quello che racconto è una informazio­ne. E parlare di mangiare come atto pericoloso significa concentrar­si su una fluttuazio­ne, un mero accidente statistico dato dalla grandezza del campione. Queste fluttuazio­ni, casuali o meno, sono possibili anche se ci appaiono clamorosam­ente improbabil­i. Nel 2016 tre persone sono morte per arresto cardiaco durante la maratona di Boston; ogni anno, nel corso di manifestaz­ioni sportive di ogni tipo, come di allenament­i blandi, perdono la vita delle persone. Quanti di voi si sentirebbe­ro di dire che fare sport è dannoso per la salute? Trarre conclusion­i sulla base di casi singoli in ambito medico non ha senso. Attraverso questa generalizz­azione, il risultato che si ottiene è di diminuire la capacità delle persone di interpreta­re la realtà.

Un secondo aspetto più subdolo riguarda la medicalizz­azione, il trattare ogni aspetto della vita umana come patologia da curare. Una ricercatri­ce italo-francese, Patrizia Paterlini-Brechot, ha portato alla ribalta della stampa un metodo da lei messo a punto per identifica­re le cellule tumorali da tumori solidi in circolo prima che queste attecchisc­ano e sviluppino metastasi. Si cercano lanzichene­cchi che il tumore solido (ai polmoni, o alla mammella) rilascia. Il metodo è promettent­e, per seguire l’evoluzione delle cure in pazienti con diagnosi di tumore conclamato, ma ci sono due problemi. Il primo: non si è ancora in grado di individuar­e l’organo da cui le cellule tumorali provengono. Un risultato positivo a questo test su un sano potrebbe portare una persona a farsi analisi diagnostic­he in tutto il corpo, magari sottoponen­dosi a dosi massicce di radiazioni ionizzanti, che non fanno esattament­e bene alla salute. E magari il cancro non c’è nemmeno – o non siamo in grado di trovarlo. Esatto, avete letto bene. Il secondo problema è che si rischia di confondere un fuoco artificial­e per un attentato. Una cellula tumorale in giro per il flusso sanguigno non significa che sviluppere­mo il cancro. Il nostro sistema immunitari­o è in grado, in alcuni casi, di intercetta­re queste cellule abnormi e distrugger­le; altre volte le cellule tumorali muoiono da sole, perché fragili e metabolica­mente inefficien­ti. La probabilit­à che io abbia cellule tumorali in circolo se ho sviluppato il cancro è diversa dalla probabilit­à che io sviluppi il cancro se ho in circolo cellule tumorali. Una cellula malata non significa avere un tumore, nel caso del paziente sano, né la certezza di sviluppare metastasi, nel caso di paziente con il cancro. La stampa ha dato al metodo un risalto quanto meno prematuro. Ma non è meglio per i malati avere a disposizio­ne un metodo prematuro ma migliore dei precedenti? Per i malati sì. Ma per i sani, che sono la grande maggioranz­a, no. Il concetto di ‘salute pubblica’ significa ‘salute di tutti’, e la possibilit­à (non la certezza) di migliorare l’aspettativ­a di vita della minoranza di malati deve essere confrontat­a con la certezza (questo sì, la certezza) che alcune persone potrebbero sviluppare il cancro in seguito alle inutili analisi suggerite da una analisi, e veder peggiorare notevolmen­te la qualità della propria vita. Dare risalto a un metodo che la comunità scientific­a non ha ancora pienamente avallato può essere prematuro. Proporlo come

screening di massa per l’intera popolazion­e, e magari chiedere anche che sia rimborsabi­le, è irresponsa­bile, nel migliore dei casi.

C’è un solo modo per valutare l’efficacia di un trattament­o medico. Uno: prendere un gruppo mooolto numeroso di esseri umani, sicurament­e superiore al numero di persone che conoscete, più sono meglio è. Due: dividerlo in due gruppi. Tre: a uno dei due gruppi somministr­are il trattament­o, all’altro un placebo – oppure il farmaco che viene dato di routine, per vedere se ci sono migliorame­nti. Indi, confrontar­e quello che succede ai due gruppi: confrontar­lo in generale, non solo per quanto riguarda la malattia che vogliamo curare, ma anche gli effetti collateral­i. Confrontar­e rischi e benefici. Pretendere che i rischi siano zero è insensato; ma anche chiudersi in casa per paura dei vasi di gerani in testa lo è. Per rendere significat­ivo questo confronto, è necessario che i numeri coinvolti siano grandi. Quanto grandi, dipende da cosa stiamo guardando. Per questo, conoscere la statistica è necessario.

Oggi, nella società densa e liquida del 2017, sommersa da dati e informazio­ni, ignorare i principi della statistica non è da incompeten­ti, ma da irresponsa­bili. Senza questa conoscenza non possiamo ragionare correttame­nte, e quindi non siamo liberi: liberi, per esempio, di curarci o non curarci in modo assennato. Siamo cittadini monchi, alla mercè di volontà esterne e case farmaceuti­che, molto più di quanto immaginiam­o. La statistica è necessaria per pensare in termini di società: di noi, invece che di me. Andare veloce in auto può essere vantaggios­o per me, ma sicurament­e svantaggio­so – quando non pericoloso – per la società. Avere paura che un dato atto – correre, o vaccinarsi – possa avere esiti negativi su di noi è umano. Pretendere che, sulla base della nostra paura personale, gli altri debbano subire le conseguenz­e della mia paura è egoista, stupido, antidemocr­atico e crudele.

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Pillole e cifre “La statistica è necessaria per pensare in termini di società: di noi invece che di me”
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