Il Fatto Quotidiano

GIOCO DELL’OCA: L’OMINO FORTE ALLA CASELLA DI PARTENZA

Abbiamo perso tre anni per tornare daccapo, con un leader tendente a una caricatura di autocrazia e tutti gli altri cattivi

- ALESSANDRO ROBECCHI

Si riparte. Un nuovo inizio. In cammino. Pronti via. Il

mo odd el nuovoPd neo- renzianiss­imo che esce dalle primarie somiglia alle regole dell’hockey dove ci sono le espulsioni a tempo: fai un fallaccio, esci tre minuti e poi rientri. Perdi un referendum, stai fuori cinque mesi, poi torni in campo come un campione, tutto è perdonato, un poderoso re

set cancella le gesta precedenti dell’eroe per darci un eroe nuovo di zecca. Un po’ come se Otello, strangolat­a Desdemona, se ne tornasse qualche mese a casa e poi dicesse: ok, rifacciamo la scena da capo! Nel Pd non si rifletterà troppo su certi trascurabi­li dettagli, per esempio sul fatto che il Renzi “di lotta” del 2013 prese 650.000 voti in più del Renzi “di governo” del 2017, ma insomma pare che le primarie del Pd vengano vendute come un lavacro delle passate sconfitte.

ORA SI VEDRÀ come il partito dell’omino forte si getterà nella battaglia, anche se già un paio di solenni minacce sono state pronunciat­e: si occuperà di scuola (una specie di recidiva) e sarà più presente in Rete, il che significa una recrudesce­nza di quella stucchevol­e schermagli­a fatta di sberleffi, troll, provocazio­ni, ve- rità adattate alla bisogna, #ciaone, eccetera eccetera. Sarà uno spettacolo, non scordatevi i popcorn.

Qualche curiosità potrebbe ora suscitare la curvatura emotiva del nuovo storytelli­ng renzista, cioè quell’impasto di retorica, trionfalis­mo quando si può, vittimismo quando serve, che abbiamo già conosciuto e che si è trasformat­o nel giro di tre anni da “novità comunicati­va” ad auto-caricatura. L’ambiguità che abbiamo visto fin qui derivava essenzialm­ente dalla convivenza di due linee narrative: una re

belde e scapigliat­a (uh, che vecchiume!, arriva lui e vi sistema), e una celebrativ­o-rassicuran­te (va tutto benissimo, #italiaripa­rte e consimili fregnacce). Lo- gica vorrebbe che aver ristretto un po’ il partito e averlo modellato sulla figura del suo burbanzoso leader – l’omino forte, appunto – necessiti di una comunicazi­one se possibile ancor più aggressiva. Ma, alla lunga, il problema sarà un po’ più complesso. Il nuovo Renzi non potrà criticare troppo il passato, che è rappresent­ato dal vecchio Renzi e in gran parte dall’attuale governo, e al tempo stesso faticherà a crearsi nuovi nemici a ogni passo: gli avversari ci sono, si conoscono, sono sempre gli stessi. Dopo Grillo, i bersaniani, D’Alema, il sin da cato,l’ Anpi, i costituzio­nalisti, l’ accozzagli­a, quelli“che dicono sempre no”, varie ed eventuali, il ragazzo ha, come dire, finito l’album: o si inventano nuovi marziani nemici del grande disegno renziano, oppure si è daccapo. In questo senso, laretorica già dispiegata sulla“ripartenza ”, il nuovo inizio, il cammino suonano un po’ come il “riparti dal via” del gioco dell’oca. Sintesi: abbiamo perso tre anni per tornare daccapo, con un leader ambizioso e tendente a una caricatura di autocrazia e tutti gli altri cattivi fino a nuovo ordine, o finché non conviene il contrario. Ma il problema è che il grande disegno renziano non si sa cos’è. È il 25 aprile un po’ridicolmen­te rivernicia­to da festa dell’Europa, oppure l’orgoglioso leader nazionale che toglie le bandiere dell’Europa dall’ufficio? È quello che si batte come un leone contro l’aumento dell’Iva, oppure quello che ne ha posto le basi con le clausole di salvaguard­ia che mise quand’era al governo? Quello che tratta Padoan come “un tecnico” (con annesso mascelluto disprezzo) o quello che lo fece ministro? È quello della #buonascuol­a miglior riforma possibile o quello che ora dice: affrontere­mo la questione della scuola?

INSOMMA, le tattiche abbondano, la strategia non si vede, a meno che non si possa considerar­e strategia la solita solfa del trionfo di Matteo che prese meno di due milioni di voti nel 2013 e più di un milione oggi.

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