Uno Shakespeare “corretto”, il teatro è servito, ma al bar
COME IL BARDOI classici dell’autore al servizio dell’intrattenimento culturale così come lui allora li aveva pensati. Gli ideatori: “Il Globe non era un teatro coi velluti rossi, ma uno spazio chiassoso”
Un adolescente si straccia le vesti per una ragazzina che non gliela dà; per fortuna ci sono gli amici, che, a forza, lo trascinano a una festa in maschera – e proprio lì il piagnucoloso si innamora subito di un’altra: “Benedetto San Francesco! Che mutamento è questo? Allora l’amore dei giovani non si trova nel cuore, ma solo negli occhi. Gesummaria!”.
È Shakespeare, riaffabulato con brio nella “Tournée da Bar”, un progetto teatrale ora consolidato in compagnia, ideato nel 2012 da Davide Lorenzo Palla: il format – un allestimento in pillole delle opere shakespeariane, affidato a due-tre cantastorie tra i tavolini e il bancone – funziona, tanto che nel 2016, forte di alcuni premi e bandi vinti, ha coinvolto oltre 8.000 spettatori, sparsi in quasi 60 locali in sei regioni del Centro- Nord.
SE A MANHATTAN si fa Shakespeare in the Park, in Italia si recita Shakespeare in the Pub, il Bar-do al Bar, e quest’anno la tournée si allunga, toccando altre due regioni e una settantina di caffè: fino al 13 maggio, a Milano, va in scena il “Suburbs Tour”, che porta Romeo e GiuliettaeMacbeth in periferia, mentre dal 22 al 26 maggio, a Bolzano, si vedranno Amleto e Otello.
Interpreti della tragedia degli amanti veronesi sono Enrico Pittaluga e Graziano Sirressi, diretti da Riccardo Mallus e accompagnati dal “musico” Roberto Dibitonto: il prologo è fulminante, e arruola il pubblico nella rissa di piazza tra Montecchi e Capuleti, repentinamente sedata da un Principe sciancato (perché così lo hanno voluto gli spettatori). Il coinvolgimento degli avventori, oltre che divertente, ha un che di pedagogico, e quindi di sadico, e rivela che i classici sono i libri che nessuno ha mai letto ma solo malamente orecchiato: la pièce si apre con Romeo frignante per la ritrosa Rosalina, ma il 99% del pubblico è convinto che stia già in affanno per Giulietta.
Spiegando e parodiando gli snodi drammatici dell’opera, l’ensemblefa (anche) un ottimo lavoro di divulgazione, ricordando, ad esempio, che è estate e che l’estate veronese è un incubo di afa, noia e zanzare: ecco perché tutti hanno i nervi, ecco perché Mercuzio e Tebaldo vengono alle mani, fumantini ragazzacci del Nordest. E poi la lettera – quella che non arriva mai, quella che si perde tra Verona e Mantova per colpa della peste, non delle poste (italiane) – conferma senz’ombra di dubbio che Romeo e Giulietta a Friburgo sarebbe- ro morti di noia più che per “contraria stella”.
Va al sodo lo spettacolo, sacrificando un po’ di poesia a vantaggio dei lazzi, efficaci soprattutto nella resa dei personaggi minori, seguiti persino quando sono fuoriscena (“è il metodo imparato da Castri”, spiegano gli artisti): Paride, il pretendente scemo di Giulietta; frate Lorenzo, una specie di santone barese, un po’ da Bari un po’ da bar; il pa- triarca Capuleti, che si fa di Xanax e molto altro...
Talvolta le gag e i commenti dilatano il ritmo, annacquando inevitabilmente le parole shakespeariane: anche l’intervallo (per bere una birra) rema contro la compattezza e l’incisività della recita, ma il lungo e caloroso applauso finale è più che meritato; segue una coda non convenzionale con lieto fine alternativo e richiesta di offerta “a cappello” come i teatranti di strada.
La settimana prossima ci sarà invece Macbeth con Irene Timpanaro e Davide Lorenzo Palla, che spiega: “Immagino gli artisti di Tournée da bar come moderni cantastorie, come funamboli che percorrono la sottile linea che divide il sociale dal culturale... Vogliamo fare intrattenimento culturale: la cultura ha più senso nei luoghi più frequentati”.
L’OPERAZIONE è intelligente: lo si capisce dall’ironia con cui la compagnia mescola alto e basso e dall’umiltà con cui riconosce che “il merito è soprattutto del Bardo, noi siamo avvantaggiati dalla sua drammaturgia, pensata apposta per il Globe: non un teatro coi velluti rossi, ma uno spazio all’aperto, chiassoso, rissoso, pieno di gente che si distraeva, faceva casino e persino amoreggiava”.
Con altrettanta malizia, il gruppo si definisce “una startup culturale... con marketing strategy e filosofia win-win, nonché interessata all’a udience development”, ovvero scritturare nuovo pubblico al bar per poi spingerlo a teatro. È una sfida nobilissima e non facile. L’altra sera, per dire, nel noto locale hipster di Milano, una ragazza ha chiesto a un’altra: “Perché prendi appunti? Fai la producer?”. Sì, di Shakespeare.
Scherzi da bar Le gag annacquano il testo, ma il lungo applauso finale è meritato