Jobs Act “di sinistra”, feste di piazza e la festa ai diritti dei lavoratori
Oggi l’Unità non è in edicola e questa rubrica è dedicata ai lavoratori e alle loro famiglie che – come purtroppo molti, moltissimi altri – si trovano nell’angosciante situazione di temere per il proprio futuro. In una durissima nota, i colleghi del quotidiano denunciano ricatti da parte dell’azienda: “Volete che vi paghiamo gli stipendi? Convincete i vostri ex colleghi a rinunciare ai loro diritti. Anche questo accade a l’Unità, il giornale dei lavoratori, fondato da Antonio Gramsci. Le provocazioni della proprietà sono diventate da tempo, il nostro amaro pane quotidiano. Ma quest’ultima ha superato ogni limite e rischia di diventare un pericoloso precedente nel mondo dell’editoria. Alla richiesta del Cdr di sapere quando sarebbero stati pagati gli stipendi di aprile, la risposta dell’amministratore delegato de l’Unità Srl, è stata: ‘Appena farete ritirare il pignoramento dalle vostre colleghe’. Questa risposta, messa nero su bianco, si definisce in un modo solo: un ricatto. (...) Siamo allo scatenamento di una ‘guerra tra poveri’, al miserabile tentativo di sancire che i nostri diritti si realizzano solo se calpestano altrui diritti!”. Il documento prosegue chiamando in causa il Par- tito democratico ( socio di minoranza, attraverso la Fondazione Eyu, de l’Unità) e Matteo Renzi, neo rieletto segretario.
LUNEDÌ abbiamo festeggiato il Primo maggio, in una situazione occupazionale sempre più disastrosa, abbiamo ascoltato il concertone, abbiamo visto il corteo a Portella della Ginestra, dove morirono 11 braccianti. A settant’anni dalla strage, la situazione del lavoro ha subito un’involuzione drammatica: colpa dei cicli economici, si dice. Colpa anche di politiche dissennate, in cui il lavoro è diventato l’unico capro espiatorio alla faccia dei dettati costituzionali: questo stato di prostrazione di chi deve vivere col proprio salario non è un dato di natura, ma un modello di rapporti economici deliberatamente perseguito. Tra le innumerevoli crisi si prenda la più nota alle cronache: quella di Alitalia. Dove con il referendum i lavoratori hanno respinto un piano lacrime e sangue, deludendo molto il presidente del Consiglio, il quale fatica a comprendere perché questi dipendenti non abbiano accettato di buon grado – per la terza volta in pochi anni – tagli al personale e agli stipendi, quando come spiegava bene il professor Ugo Arrigo sul Fatto di ieri, il problema non è il costo del lavoro (che pesa per un sesto e non è mai stato così basso nella ex compagnia di bandiera).
DOMENICA invece il Pd festeggiava la rielezione del segretario che nel suo discorso ha rivendicato il Jobs act, “una delle cose più di sinistra fatte in questo Paese”. I risultati della cosa più di sinistra sono sinistramente sotto gli occhi di tutti e dare i numeri – che di volta in volta cambiano, in un’altalena mensile che non ha spostato praticamente di una virgola la situazione complessiva – non serve: la gente sa se arriva alla fine del mese, se il lavoro ce l’ha o no. La deregolamentazione selvaggia del mercato del lavoro ci ha portati qui, in una situazione ben diversa da quella che ci viene prospettata quando ci parlano di flessibilità e dei suoi meravigliosi effetti collaterali. I diritti sono stati cancellati, con loro le tutele. Si fa un gran parlare delle colpe del sindacato (e ne ha, eccome) e si emettono pochi sussurri sul cinismo della politica che, da sinistra, ha dato il colpo finale alla dignità del lavoro e dei lavoratori. Forse è un monito anche per quei giornalisti che, da sinistra, quando è stato consumato il fattaccio, seguivano in festoso corteo il pifferaio di Rignano sull’Arno.