Riecco il Lupo: un McConaughey brutto nel sogno “Gold” di Trump
Dobbiamo tornare indietro all’Oscar del 2014 per Dallas Buyers Club. Nello stesso anno, nel Lupo di Wall Street di Martin Scorsese ha un cammeo folgorante, che non si dimentica. Dopo Killer Joe (2011, regia del grande William Friedkin), passando per The Paperboy, Mud e Magic Mike, fino a The Wolf eDallas, Matthew McConaughey ha deciso di fare “L’attore”, e il serial True Detective ha messo il tassello definitivo.
ALLA VIGILIA di quegli Academy Awards, Rachel Syme sul New Yorker già parlava di McConaissance, e il verdetto confermò: statuetta in mano, McConaughey ringraziò Dio; il padre defunto, immaginandoselo con una birra in mano; la madre, che gli ha insegnato il rispetto; il suo irraggiungibile eroe, ovvero se stesso dieci anni più tardi. Il tutto condito, balzando su e giù per la sua filmografia, da “Amen”, “Alright, Alright, Alright” e “Keep on Livin’”. Che è successo, che ha fatto Matthew McConaughey da quell’Oscar a oggi? Sempre nel 2014 fece Interstellar di Christopher Nolan, senza infamia né gloria, l’anno seguente incappò in uno dei film più brutti, se non il più brutto, di Gus Van Sant, La foresta dei sogni, quindi incarnò l’eroico libertario Newton Knight nel non eccelso Free State of Jones (2016), infine due ruoli vocali, due voci prestate alle animazioni Kubo e la spada ma- gica e Sing. Salvo sporadiche eccezioni, tutte queste prove hanno avuto un minimo comune denominatore: la magrezza e, di più, la bruttezza, ovvero lo sfascio, il deperimento, la tossicità. Caso unico se non raro nel panorama maschile hollywoodiano, laddove è norma per le donne: Charlize Theron s’è dovuta imbruttire e appesantire fino a essere irriconoscibile per conquistare la statuetta con – nomen omen – Monster (2004); due anni prima, Nicole Kidman ottenne lo stesso Oscar per la migliore protagonista con la bruttina stagionata Virginia Woolf di The Hours; due Academy Awards e due diverse cure di bruttez- za per Hilary Swank con Boys Don’t Cry ( 1999) e M i ll i o n Dollar Baby (2004). Alla stregua di queste illustri colleghe, McConaughey ha dovuto perdere i chili, la prestanza e il sorriso del manzo texano (natali il 4 novembre 1969 a Uvalde), mettere da parte la romantica “piacioneria” usa e getta di Come farsi lasciare in 10 giornieLa rivolta delle ex e scarnificare l’immagine del divo cialtrone e steroideo: per diventare altro è intervenuto in primis sul fisico, del resto, un attore è un corpo. Smagrito, pelato e tossico della serie sigaretta-bicchiere-sigaretta lo troviamo da oggi in sala in Gold – La grande truffa, l’adventure movie di Stephen Gaghan, regista di Syriana e premio Oscar per la sceneggiatura di Traffic. La locandina italiana recita, ovvero pretenderebbe, che “Wall Street ha trovato il suo prossimo lupo”, ma sotto il marketing c’è un fondo di verità: uomo d’affari impavido e scellerato, sfrenato cercatore d’oro, fortuna e successo, il Kenny Wells di McConau- ghey è un cocktail dello squalo in doppiopetto Mark Hanna del Lupo e del tabagista no future Rust Cohle di True Dete cti ve. Un’arma chimica, non convenzionale, che ha i crismi della storia vera (David Walsh e lo scandalo della canadese Bre-X Minerals Ltd), l’ambientazione primi anni 90 e l’effetto di un sogno americano riveduto e scorretto, malarico e lisergico, a pezzi eppure resiliente, straccione e anti-casta.
SI CAPISCE, McConaughey ci va a nozze, fa e strafà, fino a far sussurrare allo spettatore avveduto: “Anche meno, Matthew, anche meno”. Tra la giungla indonesiana e i grattacieli newyorchesi, il faro e sodale Michael Acosta (Édgar Ramírez) e l’amata Kay (Bryce Dallas Howard), Kenny è personaggio larger than life, self- made man stelle e strisce per antonomasia e vecchia conoscenza del cinema americano, da Il tesoro della Sierra Madre a L’uomo che volle farsi re, da Blood Diamond a The Founder. Non è film perfetto Gold, anzi, ma segnala l’irriducibilità della società, e dell’economia, statunitense al sistema, alla regulation, alla norma e, insieme, l’abbandono fideistico e forsennato al sogno: “Se vendi i tuoi sogni – dice Kenny – cosa ti rimane?”. C’è tanto in Gold, anche un sospetto fatto certezza: Kenny avrebbe votato Donald Trump. Make America Gold Again.
@fpontiggia1
Pelato e magro
Come le colleghe, anche l’attore di “The Wolf” ha dovuto perdere l’aria da manzo, scarnificare l’aria del divo cialtrone per fare “l’attore”