È dovere delle “pecore” riconoscere il pastore e non seguire chiunque
Accade che, per la ricorrenza dei testi biblici nelle letture della Messa, ad alcune domeniche è dato un nome. Così la IV di Pasqua è chiamata “domenica del buon pastore”. In questo giorno, infatti, sono sempre proclamati brani dal capitolo 10 del vangelo secondo Giovanni, la cui prima parte è dedicata all’immagine del pastore e delle sue pecore. Sotto il profilo figurativo si tratta di una delle più antiche rappresentazioni cristiane, soprattutto nelle catacombe (in quelle di san Callisto a Roma l’affresco presente risale ai primi del III secolo).
COMPRENDIAMO PURE da ciò come sia rilevante nella spiritualità cristiana. In questa domenica sono letti solo i primi dieci versetti del capitolo. Qui lo stile è alquanto impersonale, ma noi sappiamo già che tutto culminerà nell’affermazione di Gesù: “Io sono il buon pastore”. È, dunque, su di lui ch’è necessario tenere fisso lo sguardo. La sua “bontà” è tutta nella cura che egli riserva per ciascuna delle pecore e nell’amore che lo induce a dare la vita per esse. In contrasto, c’è la figura del ladro e del brigante, il quale non viene se non per rubare, uccidere e distruggere. L’intero brano è racchiuso in questa opposizione ed è proprio qui che ci è offerto un principio interpretativo per la sua lettura: è necessario, in concreto, operare un discernimento fra chi ha titolo per essere guida di una comunità e chi, al contrario è un profittatore, un abusivo. Impos- sessarsi, o donarsi? Accaparrare, o aprire possibilità? È l’alternativa!
In tale sfondo anche le “pecore” sono un soggetto centrale, perché hanno il dovere di riconoscere il vero pastore e di non seguire chiunque. Occorrono, evidentemente, dei criteri per fare discernimento ed è proprio su questi che vorrei fermare l’attenzione. Osserviamoli rapidamente, anche perché il loro valore mi pare universale. Un primo criterio è quello dell’appartenenza e della conoscenza: “egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome”. Avere conoscenza delle persone e saperne leggere i veri bisogni è importante. Ci sono poi la capacità e la lungimiranza di avviare verso spaziosi orizzonti (“conduce fuori”), l’esclusione delle partigianerie e del settarismo (“tutte le sue pecore”), il vigore morale del mostrare in se stessi e impegnarsi di persona (“cammina davanti”).
Ecco alcuni criteri per il discernimento del vero pastore. Nel testo ci sono, evidentemente, altri elementi. Fra questi, anch’esso importante, il tema della “porta”. Proprio al centro del passo, anzi, c’è l’affermazione di Gesù: “io sono la porta delle pe- core”. Vuol dire che solo Gesù apre l’accesso alla vita sovrabbondante. Ed è così che si fa spazio il senso pasquale dell’intero brano evangelico, sicché la scelta della lettura del testo nella Messa è fatta proprio per farci crescere nella comprensione della Pasqua del Signore.
PER DIRLA SEMPLICEMENTE:
non è per un gregge esistente che il pastore dà la vita; è, invece, Gesù che, donando la propria vita, costituisce il gregge! Di questa domenica desidero evidenziare un ultimo aspetto ed è che in essa si celebra la 54ma Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Nel vangelo si dice che il pastore “chiama le sue pecore” e le chiama alla vita. È qui il senso cristiano della vocazione: è il pensiero provvidente di Dio su ciascuno di noi, come un sogno che sta a cuore a Dio perché ciascuno di noi gli sta a cuore. “Ciascuno è chiamato per nome, nell’unicità e irripetibilità della sua storia personale, a portare il contributo suo proprio per l’avvento del Regno di Dio” (Giovanni Paolo II).
Vocazione è la proposta divina a realizzarsi secondo questa chiamata, sicché ciascuno di noi è chiamato a esprimere un aspetto particolare del sogno di Dio.
I CRITERI Per non scegliere un impostore, bisogna accertarsi che lo si conosca, che sia lungimirante, che non sia settario e che possieda il vigore morale