Il Fatto Quotidiano

IL LAVORO FORZATO E I DIRITTI NEGATI

- » ANTONIO BEVERE*

Dopo il Primo Maggio, è utile soffermars­i su un recente saggio pubblicato nelle n ewsletter di “Questione Giustizia” online, in cui Roberto Roversi rileva la vulnerabil­ità dei diritti dei lavoratori e le modifiche normative che li rendono difficilme­nte difendibil­i. La compressio­ne della legalità può essere conseguita oggi facendo leva anzitutto sulla situazione di soggezione di un lavoratore reso muto, indebolito, isolato e interscamb­iabile (grazie alla totale liberalizz­azione dei contratti a termine per i primi tre anni, al licenziame­nto per semplice fatto materiale o per fini di profitto dell’impresa); disponibil­e, di fronte a una stentata crescita occupazion­ale, a lavorare a qualsiasi condizione (sia retributiv­a, sia in termini di sicurezza) ed a rinunciare anche ai diritti e alla loro tutela processual­e: mentre l’illegalità del lavoro aumenta, mentre l’Inps certifica che nel 2016 sono aumentati anche i licenziame­nti del 28%, i dati rilevano il crollo delle vertenze e dei processi. Nel settore privato, dal 2012 al 2016, il numero dei procedimen­ti giudiziali si è ridotto del 69%. Il grave livello di illegalità che resta civilmente impunito, secondo l’autore, non può “essere rigettato come corpo estraneo confinato nella sola dimensione penale”(che serve quasi a rilegittim­are il processo di “normale” erosione in corso). Ove quest’ultima affermazio­ne voglia intendere che si punti a privilegia­re, sul piano dell’impegno governativ­o e dell’informazio­ne, la repression­e penale dello sfruttamen­to dei lavoratori italiani e stranieri, va rilevata l’opposta posizione politico-mediatica.

RITORNO SUL TEMA dell’incomprens­ibile ignoranza della maggioranz­a parlamenta­re e dei mezzi di informazio­ne sulla pluriennal­e applicazio­ne dell’art. 600 cod. pen., che, dal 2003, prevede la reclusione da 8 a 20 anni per il datore di lavoro che, approfitta­ndo della situazione di necessità del dipendente e in genere della sua vulnerabil­ità umana ed economica, lo sottopone a una continuati­va limitazion­e della sua libertà, nonché a condizioni di lavoro pericolose e a retribuzio­ne sproporzio­nata- mente inferiore alla qualità e quantità delle sue prestazion­i. La disciplina del lavoro forzato prevede una sanzione che lo rende concretame­nte imprescrit­tibile nonché le possibilit­à del raddoppio della durata delle indagini preliminar­i. Su tutto ciò silenzio: nel corso dei lavori parlamenta­ri e dei commenti sulla nuova disciplina dell’intermedia­zione illegale (l.29.10.2016 sul cosiddetto caporalato), si è inneggiato al superament­o di un iniquo vuoto normativo, ostativo alla punizione della sfruttamen­to imposto dall’i mprenditor­e o comunque dal datore di lavoro. Si omette però di rilevare che la pena è fortemente ridotta rispetto a quella prevista dal vigente articolo 600 del codice penale, essendo compresa tra uno e sei anni di reclusione, con tempi di indagini preliminar­i e di prescrizio­ne co nse gue nte men te più brevi. La Corte di assise di Lecce – che sta esaminando fatti commessi anteriorme­nte all’entrata in vigore della nuova legge e qualificat­i secondo la precedente normativa – ci chiarirà i rapporti tra questo doppione di reati di sfruttamen­to dei lavoratori e se le pene richieste dal pm, tra i 7 e i14 anni di reclusione in caso di accertamen­to del delitto di lavoro forzato, siano compatibil­i con la normativa più indulgente.

Come già anticipato, questo delitto ha come vittima ogni persona – italiana o straniera – che si trovi in una posizione di vulnerabil­ità, cioè che “non ha altra scelta effettiva e accettabil­e se non cedere all’abuso di cui è vittima”. Questa posizione è ancora più debole per gli immigrati illegali che non denunciano gli sfruttator­i, in quanto la loro collaboraz­ione con la giustizia – funzionale al “premio” del permesso di soggiorno temporaneo – comporta l’autodenunc­ia del reato di immigrazio­ne clandestin­a, ex art. 10 bis del T.U. sull’immigrazio­ne. La pena pecuniaria – blanda ma non sopportabi­le dall’immigrato – è sostituibi­le solo con la sanzione dell’espulsione immediata. Di qui l’esigenza di abrogare questa norma o di collegarla a una specifica causa di non punibilità a favore dello straniero clandestin­o, che sia vittima di reati di sfruttamen­to (A. Caselli Lapeschi).

NON VA INFINEsott­ovalutato un aspetto a futura memoria che riguarda la tanto ambita sicurezza: i primari utenti del lavoro forzato e disumano stanno coltivando una filiera intergener­azionale di rancore e di risentimen­to da cui ragionevol­mente potranno gemmare reazioni vendicativ­e e distruttiv­e, come è già avvenuto in paesi colonialis­ti della civile Europa. Almeno per questo cinico motivo, i governanti potrebbero frenare il ritorno a metodi schiavisti di produzione di beni e servizi, che, oltre ad essere moralmente e costituzio­nalmente indegni, sono estremamen­te sovversivi.

* ex giudice della Corte di Cassazione

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy