Il Fatto Quotidiano

Richetti, il Matteo bravino fa carriera al servizio di Renzi

- » ANDREA SCANZI

Secondo uno studio recente dell’Università dell’Illinois, le tre cose più difficili da riscontrar­e in natura sono gli Ufo, un centrocamp­ista buono nel Milan e un renziano preparato in tivù. Quando si tratta di invitare un fan del renzismo, cioè del niente, nelle redazioni scatta il panico. I programmi del mattino e del pomeriggio sono costretti a raccattare le prime Rotta e Morani che trovano, oppure il primo Ricci che suona al citofono. Se il dramma è poi totale, ci si accontenta perfino di qualche renziano di terzo o quarto pelo, tipo Andrearoma­no (tutto attaccato, come un mantra laico), Rondolino o Genny Migliore. Non ci permettere­mmo mai di asserire che tutti i renziani siano così, ma di sicuro lo sono (quasi) tutti quelli che cianciano nel piccolo schermo.

Per questo, nell’ecosistema, la funzione di Matteo Richetti risulta decisiva. Egli è l’eccezione che conferma la regola, nonché la dimostrazi­one che per far parte del giglio magico-tragico non è obbligator­io odiare i neuroni come la lebbra o il tifo. Richetti è nato a Sassuolo nel 1974. Giornalist­a pubblicist­a, ex Margherita, rottamator­e ante-litteramco­n Renzi, Civati e Faraone (non è una battuta). Richetti ha vissuto un lungo periodo in naftalina. I motivi non si sono mai saputi. Secondo molti, la rottura con Renzi&Boschi atteneva più a motivi privati che politici. Di sicuro, per quasi tutta la legislatur­a attuale, Richetti è stato l’anello di congiunzio­ne tra renzismo e civatismo.

LA VERSIONE “MAANCHISTA” post-contempora­nea: lui era contro Renzi, ma anche a favore. A lui non piaceva il governo, però tutto sommato gli piaceva. Lui non stimava alcuni colleghi di partito, almeno fuori onda, però poi in onda li stimava parecchio. E via così, tra un Otto e mezzo e un DiMartedì. A differenza di molti renzini di allevament­o, Richetti si è guadagnato la prima serata in virtù di preparazio­ne, eloquio e faccia da bravo ragazzo. Persona preparata, intelligen­te e simpatica, Richetti adotta sistematic­amente la tattica del “non sono d’accordo con lei ma la rispetto”. Non appena si trova davanti un giornalist­a che non ha il poster in camera di Nardella, cerca di ammansirlo dicendo cose tipo “io stimo gli amici del Fatto Quotidiano”. Fa sempre così. È medaglia d’oro nella specialità “Indorament­o di pillola”. Richetti non è uomo da panchina e, con pazienza, ha saputo riguadagna­rsi la scena. È accaduto quando, nel periodo pre-referendar­io, l’impreparaz­ione della “classe dirigente” renziana è esplosa in tutta la sua mestizia. A quel punto Renzi ha dimenticat­o i dissapori passati e lo ha assoldato in fretta e furia come fedelissim­o. Il suo ruolo? “L’intelligen­te garbato” nel gran circo barnum renzino.

Da allora Richetti è diventato un Orfini bellino, maramaldeg­giando alla Leopolda come ai bei (?) tempi e garantendo che il “sì” ci avrebbe mondato da tutti i peccati. Dopo la sconfitta, non ha fatto un plissé. Anzi: è sempre più querulo e potente. “Pisapia ha votato Sì e ora deve scegliere tra noi e D’Alema”.“Gentiloni deve attuare le riforme di Renzi”, “Non è nato il partito di Renzi: è nato il nuovo Pd”. “Mai con D’Alema e Bersani”. Eccetera. Matteo (quello bravino) è lanciatiss­imo. Sarà presto ministro e lo attende una carriera trionfale.

Compliment­i. Certo, guardando la sua parabola vien da ripensare a quel che disse Nanni Moretti a Gianfranco Fini, ovvero se valesse la pena fare carriera a costo di diventare il maggiordom­o di un caudillo improponib­ile.

Ma non si può avere tutto dalla vita.

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