Il Fatto Quotidiano

Gli scafisti e la protezione alla joint venture dell’Eni

Mellitah Oil ha un accordo per la sicurezza con le milizie dei trafficant­i

- » ENRICO PIOVESANA

Tra continui naufragi e polemiche su Ong e rapporti con gli scafisti, emergono connivenze ben più istituzion­ali. Da una parte la complicità indiretta dell’Eni con uno dei due principali trafficant­i libici di essere umani, dall’altra la collaboraz­ione italiana con la Guardia costiera libica che questo traffico lo gestisce invece di contrastar­lo.

NELL’AGOSTO del 2015, dopo il rapimento di alcuni tecnici italiani, la società Mellitah Oil and Gas (joint venture fra Eni e la compagnia petrolifer­a nazionale libica Noc) che gestisce il terminal petrolifer­o di Mellitah, a Ovest di Tripoli, ha siglato un accordo riservato di protezione esterna dell’i mpianto con la principale milizia di Sabrata, il Battaglion­e Anas Dabbashi. Questa milizia comandata da Ahmed Dabbashi (detto ‘lo Zio’), oltre a trafficare in armi, contrabban­dare greggio in Sicilia in accordo con Cosa Nostra e coltivare rapporti con l’Isis, ha il suo business principale nel traffico dei migranti. È ‘lo Zio’, infatti, che gestisce i viaggi della speranza che partono dalle spiagge di Sabrata e Zauia, spartendos­i il traffico con l’etiope Ermias Ghermay: lui, insieme all’insospetta­bile miliardari­o locale Mussab Abu Grein, gestisce i disperati in fuga da Eritrea e Somalia via Sudan, mentre Dabbashi ha il monopolio degli africani occidental­i e subsaharia­ni via Niger.

Il Fatto Quotidiano ha potuto visionare il documento con cui la società Mellitah Oil &

Gas informava di questa cooperazio­ne i servizi di sicurezza libici.

Eni ha dichiarato di non avere informazio­ni al riguardo in quanto la gestione della sicurezza dell’impianto libico è demandata alla società in joint venture, la quale, interpella­ta, non ha fornito risposte.

I TRAFFICI gestiti da Dabbashi e Ghermay sarebbero impossibil­i senza la costosa protezione del potente comandante della Guardia costiera di Zauia (a Est di Mellitah) il capitano Abdurrahma­n Milad ( a ka al-Bija), che da almeno due anni - spalleggia­to da Mohamed Kashlaf (aka al-Qasab) e della sua Brigata Nasr (divisione Ovest delle Guardie petrolifer­e) che fino all’anno scorso controllav­a la raffineria di Zauia trafficand­one illegalmen­te il petrolio - riscuote il pedaggio da ogni barcone in partenza dalla costa, fermando e riman- dando indietro solo quelli che non hanno pagato, per poi rinchiuder­e i malcapitat­i passeggeri in un centro di detenzione e lavoro forzato. È a questa Guardia costiera che il governo italiano, in virtù del recente accordo firmato a Roma tra Gentiloni e il debole premier libico riconosciu­to dalla comunità internazio­nale Fayez al - S ar ra j, vuole delegare il contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterran­eo.

Queste informazio­ni, emerse da inchieste giornalist­iche condotte sul posto (in particolar­e quelle di Francesca Mannocchi per Middle East Eye e Nancy Porsia per The Post Internazio­nale e TRTWorld), sono note da tempo sia alla nostra intelligen­ce che ai nostri vertici militari secondo Gianandea Gaiani, direttore di Analisi Difesa e autore del libro Immigrazio­ne: tutto quello che dovremmo sapere. “Grazie ai sofisticat­i mezzi d’intercetta­zione elettronic­a di cui sono dotate le navi militari italiane che incrociano al largo della Libia nell’ambito delle operazioni navali EunavforMe­d e Mare Sicuro e all’attività di intelligen­ce condotta in loco dall’Aise (i servizi segreti italiani per l’estero, ndr) si conoscono nomi, cognomi, indirizzi, numeri di telefono e di targa di tutti i trafficant­i di esseri umani e delle milizie e clan tribali che li appoggiano e dei loro legami con l’Isis e altri gruppi jihadisti. C’è consapevol­ezza totale di chi sono i protagonis­ti di questo business — spiega Gaiani — ma manca la volontà politica di agire per stroncarlo alla radice. Invece di regalare soldi e motovedett­e a una Guardia costiera libica complice dei trafficant­i, bisognereb­be scoraggiar­e questo business rendendolo non più remunerati­vo, coinvolgen­do l’Onu per accogliere in Tunisia i migranti intercetta­ti al largo della Libia, che quindi non pagherebbe­ro più e non rischiereb­bero più la vita per ritrovarsi sulle coste africane”.

PER GABRIELE IACOVINO, analista del Centro di studi internazio­nali (Cesi) esperto di Libia, “in un Paese diviso in potentati locali spesso coinvolti in attività criminali è inevitabil­e che un’azienda che ha interessi da proteggere debba scendere a compromess­i con chi ha il coltello dalla parte del manico. Lo stesso vale se si danno soldi e mezzi alla Guardia costiera, che risponde a quelli stessi clan e milizie locali: gli aiuti finiranno per forza anche nelle mani di un criminale come il capitano Milad. L’unico modo per non scendere a patti con questi personaggi e porre fine al traffico di esseri umani — conclude Iacovino — è ricostruir­e lo Stato libico su base federale e smobilitar­e le milizie locali, il che è fattibile solo con l’avvio di una robusta missione di caschi blu dell’Onu”.

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Ansa Olio e affari Un miliziano e il terminal di Mellitah, a ovest di Tripoli, di Eni e della libica Noc

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