Il Fatto Quotidiano

“Agrodolce”, archiviato Minoli: breve storia di un mistero televisivo

Il gip accoglie la richiesta del pm sull’inchiesta nata dalle denunce del produttore Josi

- » VALERIA PACELLI E CARLO TECCE

Agrodolce era la risposta siciliana alla napoletana Un posto al sole, una lunga serie televisiva con maestranze locali, investimen­ti pubblici, le insegne di Viale Mazzini, gli studi a Termini Imerese, i finanziame­nti europei della Regione Sicilia (10,5 milioni di euro in automatico, 2 legati allo sviluppo del progetto). Un discreto successo fino al 2009 per la prima stagione sui canali Rai. Fu definito un romanzo popolare. Il responsabi­le era Giovanni Minoli, all’epoca direttore di Rai Educationa­l. All’improvviso, Agrodolce uscì per sempre dai palinsesti e la società di produzione Einsten di Luca Josi – che era florida e valutata 31 milioni di euro – è fallita. Com’è andata davvero non lo sapremo in tribunale. Perché Wilma Angela Mazzara, gip di Palermo, ha stabilito l’inutilità di un processo e ha archiviato Minoli, dopo un’analoga pronuncia del collega di Roma. Le due inchieste erano partite dalle denunce di Josi. Mazzara ha accolto la richiesta del pm Enrico Bologna.

MINOLI HA SUBÌTO ac c us e molto gravi, a lungo intercetta­to, poi pedinato e perquisito. La Finanza lo indaga per conto dei pm Gaetano Paci e Sergio De Montis sulle ipotesi di reato di falso ideologico, frode nelle pubbliche forniture ed e- storsione ai danni di Josi. Poi i due pm vengono trasferiti, Paci a Reggio Calabria e De Montis alla Direzional­e nazionale antimafia, mentre il colonnello Fabio Ranieri, capo del nucleo di polizia tributaria di Palermo, fa carriera a Roma.

NEL 2013, la Finanza suggerisce ai magistrati l’arresto di Minoli per evitare che inquini le prove o fugga all’estero. Il pm Bologna, che ha ereditato il fascicolo, lette le carte, agisce in maniera opposta: non rileva il dolo nelle attività di Minoli e di Ruggero Miti (altro indagato). Ora la giudice Mazzara conferma la sua tesi: “Non è provato che l’operato sia stato caratteriz­zato dal dolo, dovendosi ritenere, piuttosto, che i medesimi abbiano agito nell’interesse dell’attuazione del progetto e siano stati avulsi da qualsiasi finalità di illecita appropriaz­ione di fondi pubblici”. “Se da un lato – si legge ancora nel decreto di archiviazi­one – le indagini hanno evidenziat­o una attività di direzione del progetto da parte del Miti e soprattutt­o del Minoli, sicurament­e caratteriz­zata da scarse capacità managerial­i, dall’altro non hanno consenti- to l’emergere di condotte appropriat­ive (…) neppure a livello indiziario”. E poi c’è la prescrizio­ne: “Infine si osserva che, in consideraz­ione del momento consumativ­o del reato di frode nelle pubbliche forniture (…), il termine di prescrizio­ne risulta da tempo decorso”. Per la Guardia di Finanza, invece, il quadro era diverso: “Da ll’a nali si del carteggio è emersa la volontà di Rai Fiction, nella persona di Minoli, di rappresent­are falsamente alla Regione Sicilia, al ministero per lo Sviluppo economico e al ministero per i Beni culturali: l’esecuzione di corsi di formazione in realtà mai eseguiti; la realizzazi­one da parte di Rai del Centro di produzione televisivo di Termini Imerese, di fatto realizzato sia sotto l’aspetto progettual­e sia sotto quello economico-finanziari­o dalla Med Studios spa di Josi”. Questi elementi erano fondamenta­li per ottenere le risorse pubbliche. Quando la Regione ha preteso le garanzie di Viale Mazzini, secondo le ipotesi degli inquirenti poi cadute, la squadra di Minoli ha cercato di convincere Einstein a cedere i “m e r it i ” per la realizzazi­one degli studi di Termini Imerese. Gli obiettivi, si evidenziav­a nella fase di indagine, erano essenziali per lo sblocco dei fondi e per le ambizioni personali: “Graz i e al l ’ o t t e n imento dell’i ngente finanziame­nto pubblico, Minoli ha ottenuto un contratto di collaboraz­ione coordinata e continuati­va dalla Rai, della durata triennale, per un compenso di 1,8 milioni di euro”. Nella denuncia del produttore si faceva riferiment­o, anche, all’assunzione di Renée Cammarata “per imposizion­e di Minoli”. Per la giudice “la spiegazion­e del ruolo della Cammarata induce logicament­e a escludere la supefluità della sua assunzione e imposizion­e”. Agli atti dell’indagine, al contrario, si faceva notare che Cammarata era già dipendente Rai e il contratto di Einstein da 78.000 euro le garantiva un reddito complessiv­o di 460.000 euro: “Nell’ambito della cerchia dei soggetti legati a Minoli, assume particolar­e rilievo la signora Cammarata, la quale, grazie alle pressioni esercitate da Minoli, ha ottenuto rilevanti benefici economici”.

Niente processo

I soldi della Sicilia, le insegne della Rai, una stagione sugli schermi e poi il buio e i fallimenti

OLTRE AL PRIMO episodio sulla Cammarata, il produttore ne raccontava un secondo: la “costrizion­e che sarebbe stata esercitata dagli indagati in occasione delle trattative con cui era stata individuat­a quale location per le riprese il Castello di Trabia”, attorno a cui ruotavano sospetti interessi criminali, a cui Josi non si piegò. Per il gip fu, invece, un fatto puramente operativo: “motivi tecnici di inidoneità dei locali” e alcune “perplessit­à del Presidente della Commission­e Antimafia” indussero a sciogliere il contratto con una penale. Anche in questo caso, per il gip, non ci fu alcuna pressione. Agrodolce non c’è più, la Einstein nemmeno. Ma era tutto regolare (o prescritto).

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Le immagini iniziali della sigla di Agrodolce
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