Il Fatto Quotidiano

Dalla montagna al lager: il “sistema Levi” su un paio di sci

- » NANNI DELBECCHI

Èl’alba del 13 dicembre 1943 quando Primo Levi viene catturato dai nazifascis­ti nella pensione di Brusson dove si era rifugiato con la sorella e la cugina. Si apre tra le nevi della Val d’Aosta, con il racconto del partigiano Ives Francisco, il documentar­io Gli sci di Primo Levi, realizzato da Bruna Bertani con Domenico Scarpa, andato in onda su Rai5 (e ancora cliccabile su Raiplay, vero rifugio del telespetta­tore). Un omaggio sobrio e poetico, nel solco dell’orgogliosa modestia del protagonis­ta, a trent’anni dalla scomparsa. Le testimonia­nze di chi conobbe questo scrittore così concreto e così universale (oltre a Francisco, Anna Bravo, Carlo Ginzburg, Liliana Segre, Ernesto Ferrero…) disegnano un sillabario con tutte le voci, o per meglio dire, gli elementi del Sistema Levi. La montagna, “la virtù del resistere”; la chimica, “ovvero l’arte di separare, pesare e distinguer­e”; il treno Milano-Aushwitz, una settimana di viaggio, a centinaia stipati nei vagoni come animali; il Lager, “senza il quale probabilme­nte non avrei mai scritto nulla”, la tregua, “quando anche l’ora della libertà può suonare grave e dura.” In quella pensione di Brusson rimasero gli sci che Levi aveva portato con sé, e fu proprio con quegli sci che il partigiano Francisco riuscì a fuggire in Svizzera, attraverso i ghiacciai. Da una condanna era venuta la salvezza, come lo stesso Levi avrebbe sperimenta­to; ma nessuno poteva immaginare quanto i suoi sci, e le sue parole, lo avrebbero portato lontano.

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