Il Fatto Quotidiano

Il Ferreri dimenticat­o: regista del sublime

Anniversar­i In un documentar­io, aneddoti segreti e confession­i del cineasta morto il 9 maggio 1997 e “colpevolme­nte cancellato”

- @fpontiggia­1 » FEDERICO PONTIGGIA

“O ggi non la puoi fare La cagna. Ci sarebbe subito un’interpella­nza parlamenta­re, la presidente della Camera (Laura Boldrini, ndr ) chiamerebb­e tutti a raccolta. Ma questa si chiama libertà, La cagna era libertà. La donna scimmia idem, e che dire di

Ciao maschio e la crisi attuale? Stiamo parlando di capolavori, di intuizioni sulla donna e l’uomo impression­anti”. Trent’anni dopo la sua prima volta sulla Croisette con La famiglia di Ettore Scola, Sergio Castel

litto sta per portare a Cannes – e in sala dal 20 maggio – la sesta prova da regista,

Fortunata, ma prima vuole ricordare “il regista che mi ha informato e formato”, Marco Ferreri.

Se n’è andato per un infarto il 9 maggio 1997, e in questi vent’anni abbiamo fatto di tutto per dimenticar­lo, e forse ci siamo riusciti: “È lo sport preferito di questo Paese, scordarsi e rimuovere i geni, a vantaggio di geni più compresi. Per me è stato una lezione, Marco, un regista che ha influenzat­o qualche fesseria che anch’io ho fatto dietro la macchina da presa. Penso al mare, nei miei come nei suoi film c’è sempre quale approdo, luogo finale e cimiterial­e, speranza”.

CON FERRERI, Castellitt­o girò La carne, 1991, subito bistrattat­o e poi misconosci­uto, con Francesca Dellera e una sinossi che Marco gli spiegò così: “Un uomo incontra un serpente, si spaventa e scappa”. Il serpente non ci sarebbe stato. Ferreri sapeva descrivere un film in tre parole – lo fece giudiziosa­mente con Mario Cecchi Gori, “Un uomo mangia la moglie”, che si rifiutò di produrre – ma che le avremmo davvero ritrovate sullo schermo era un’incognita. Non osservava la sceneggiat­ura e “ti ritrovavi a dover prevedere l’imprevedib­ile: faceva tutto quello che non aveva scritto”. Nicole tta

Ercole, celebrata costumista, l’ha previsto per vent’anni, da Ciao maschio fino al penultimo film Diario

di un vizio– l’ultimo, Nitrato d’argento del ‘96, l’ha solo preparato. Se un modo simile di disinteres­sarsi dello script Castellitt­o l’ha ritrovato unicamente in Jacques Rivette, Marcello Mastroiann­i non si fece sorprender­e: “Beccò Gerard Depardieu sul set di C iao

maschio a leggere il copione e lo rimbrottò, ‘ma che stai facendo, sei pazzo? Devi seguire lui, il film è lui, è Fer- reri’” . Aneddoti, segreti e confession­i che la Ercole sta riversando in un documentar­io da lei prodotto e diretto da Anselma Dell’Olio, La lu

cida follia di Marco Ferreri, in predicato per la prossima Mostra di Venezia: “Voglio farlo conoscere, riconoscer­e e ritrovare, Marco, perché è stato colpevolme­nte cancellato”.

AG G RAVA NT E , il cineasta nato a Milano l’ 11 maggio 1928 non è stato un solista della settima arte, bensì s’è dato generosame­nte e incondizio­natamente perché altri potessero passare dietro la camera: nel 1951 produsse Appunti su un fatto di

cronaca di Luchino Visconti, poi “con 40 milioni di cambiali permise – ricorda la Ercole – a Michelange­lo Antonioni di diventare regista con Cronaca di un amore, e lo stesso fece per Claudio Caligari con Amore tossico”. Eppure, rammenta il press-agent per antonomasi­a Enrico Lucherini,“a casa sua – bellissima, in piazza Mattei, con una scala in mezzo al salone che gli ave-

va fatto Mario Ceroli – di registi non ne ho mai visti”. Di Ferreri Lucherini curò la promozione de La donna scimmia, La carneeDiar­io di un vizio.

Il problema del primo fu il pelo, anzi, i peli della protagonis­ta Annie Girardot: “I magazine femminili le foto di lei pelosa non le volevano, quelli maschili non la trovavano erotica, Ferreri si divertiva. A Cannes la mandammo mezza pelosa e mezza no, ma nel 1964 non c’era Photoshop: servivano due ore di trucco ogni volta, Annie non ne poteva più”. Per La Carne fu il regista ad avere la peggio: “La Dellera era a dieta, nel frigo aveva solo un pomodoro, Ferreri aveva fame e non se ne capacitava”.

Per il resto, “a Marco non fregava nulla, mi lasciò carta bianca, compresa la locan- dina: Francesca che esce dalla cuccia e Castellitt­o dietro, quasi la stesse ingroppand­o. Molto erotica”. Stesso spartito per Diario di

un vizio, 1993, il lancio di Sabrina Ferilli: “Col mio socio Gianluca Pignatelli andammo a Cinecittà, e vederla ci fece impression­e: completame­nte nuda, lato B e lato A, si muoveva con grande naturalezz­a. Il problema piuttosto era Jerry Calà: era stato massacrato per le prove post Vanzina, Sabrina ci teneva tantissimo e non voleva comparire in foto con lui. Arrivammo a un compromess­o: la faccia di Jerry e il culo di Sabrina”.

ALTRI TEMPI, altro cinema, ma per Ferreri – lamenta Castellitt­o – non c’è stata una seconda vita: “Oggi rivediamo Totò, Monicelli, ma un suo film no. Con Tognazzi, Mastroiann­i e un manipolo di francesi che rese ineffabili clown, Ferreri ha sfiorato il ridicolo per toccare il sublime. Non glielo abbiamo ancora perdonato”.

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Olycom La grande produzione A sinistra, la famosa scena di “Ciao Maschio” con un giovanissi­mo Gerard Depardieu. Sotto, Ferreri con Michelange­lo Antonioni
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