Assegno di divorzio, addio “tenore di vita” per calcolarlo
L’Italia che cambia Sentenza storica della Cassazione: il diritto alla somma dipenderà dall’effettiva necessità dell’ex coniuge
Una decisione importante per moltissimi italiani: per ottenere e quantificare l’assegno matrimoniale nei confronti dell’ex coniuge in caso di divorzio, non avrà più alcuna rilevanza il mantenimento del “tenore di vita” prematrimoniale. A stabilirlo, ieri, una sentenza della prima sezione civile della Cassazione destinata a fare giurisprudenza e ad essere il riferimento per altre decisioni cul tema. Cambia il principio: il diritto all’assegno dipenderà dall’effettiva necessità da parte del richiedente. Dovrà quindi dimostrare di non essere economicamente indipendente “in tal senso – si legge nella sentenza – dovendo intendersi la funzione, esclusivamente, assistenziale dell’assegno divorzile”.
LA SENTENZA. Le parti in causa sono nomi noti alla cronaca, come le vicende del loro divorzio: l’ex ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, e l’imprenditrice Lisa Caryl Lowenstein. I giudici hanno respinto il ricorso con il quale la donna chiedeva l’assegno di divorzio. Il diritto le era stato negato già nel 2013, anno del divorzio, dal Tribunale di Milano. Poi, anche dalla corte d’Appello nel 2014: era stata ritenuta incompleta la documentazione sui redditi presentata dalla Lowestein “in una situazione di fatto in cui l’altro coniuge aveva subito una contrazione reddituale dopo lo scioglimento del matrimonio”. I giudici della Cassazione, però, non solo respingono il ricorso ma entrano nella ratio della sentenza, dando un chiaro indirizzo.
COSA CAMBIA. La Corte, in pratica, si fa carico di portare a compimento un cambiamento iniziato con alcune sentenze delle Sezioni Unite (che esortavano a una interpretazione del concetto del tenore di vita in base ai singoli casi) del 1990 ma mai portato a compimento per “l’esistenza di modelli di matrimonio più tradizionali perché sorti in epoca molto anteriore alla riforma”. “Questa esigenza – scrivono i giudici – si è tuttavia molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmentecondiviso nel costume sociale il significato di matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita”. Insomma, per la Corte la formazione di una famiglia è una “scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’a ss u nzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto”.
RIFARSI UNA VITA. Ci sono poi i principi del diritto di entrambi i coniugi di rifarsi una vita. “U n’i nt er p re t az i on e delle norme sull’assegno che producano l’effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della rescissione degli effetti economici-patrimoniali – spiega la sentenza – può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia”. E qui, ri- chiamando ancora un passaggio delle Sezioni Unite, la Cassazione mette l’accento sulla distorsione dell’a s s egno, che rischia di diventare una “rendita parassitaria e un’ingiustificata proiezione patrimoniale di un rapporto personale sciolto”. Riformarne la concessione può quindi servire a “responsabilizzare il coniuge che pretende l’assegno, imponendosi di attivarsi per realizzare la propria p er s on al i tà , nella nuova autonomia di vita”. Discorso che ovviamente camb i a i n p r esenza di figli, sopra ttutto se minorenni.
I NUMERI. L’ultimo rilevamento dell’Istat sui divorzi in Italia è relativo al 2015 e mostra come, soprattutto grazie all’introduzione del divorzio breve, siano notevolmente aumentati rispetto al 2014: sono stati 82.469, un incremento del 57 per cento. Le separazioni (che non prevedono mantenimento) invece sono state 91.706, aumentate del 2,7 per cento rispetto al 2014. Intanto, ci si sposa sempre meno, lo fanno 3,2 persone ogni mille abitanti (meglio solo di Portogallo e Lussemburgo), dal 2008 al 2014. Le nozze sono diminuite di circa 57 mila unità e prima del divorzio passano in media 16-17 anni.
LA CRITICA. Bisognerà ora vedere se resterà un caso isolato oppure se si tratterà di un orientamento fermo. A opporsi, il Forum delle associazioni familiari italiane: “La Cassazione non riconosce il lavoro di assistenza e cura dell’a mbiente familiare – ha spiegato il responsabile giuridico Vincenzo Bassi – e il ruolo nella crescita professionale del coniuge più forte e dell’intera famiglia . Il coniuge più debole viene quindi danneggiato. Se il marito decide di divorziare, l’assegno non sarà parametrato a quello che la moglie ha contribuito a realizzare ma solo alle necessità di autosufficienza e sopravvivenza, che può essere pari a una pensione sociale”.
Un chiaro indirizzo
I giudici rivedono il concetto di matrimonio: “Scelta libera e consapevole”