Le tutele azzoppate del Jobs act per autonomi
Donne “più ricattabili” in caso di maternità e la disoccupazione che non c’è
Èarrivato
il secondo Jobs Act targato Giuliano Poletti. Disco verde in Senato alla legge sul lavoro autonomo che vuole essere lo statuto delle partite Iva. Dai grafici ai traduttori, passando per le professioni ordinistiche: oltre 2 milioni gli interessati, finora penalizzati sul piano fiscale e del welfare e tra i quali spesso si nascondono lavoratori dipendenti mascherati. Tra le associazioni di freelance prevalgono reazioni positive. “Viene protetta la maternità e la malattia grave”, spiega Anna Soru, presidente di Acta. “Almeno in parte, colma un ritardo intollerabile”, dice Marina Calderone, presidente del Comitato professioni Cup. Gli ordini però sono contrari alla mancata reintroduzione delle tariffe. Critica la Cgil: “Mancano equo compenso e sostegno al reddito”. Diverse tutele introdotte, poi, sono pura retorica, poiché derogabili o prive di copertura finanziaria.
SI PARTE col divieto di clausole che prevedano pagamenti superiori a 60 giorni. L'autonomo potrà dedurre dal reddito i costi per la sua formazione e le spese per trasferte e pasti. Durante le malattie più lunghe di 60 giorni è ammessa la sospensione del pagamento dei contributi. Il congedo parentale per le lavoratrici passa da tre a sei mesi e viene esteso anche al padre del bambino, purché entrambi i genitori non superino i sei mesi totali. Nel periodo di congedo, si potrà continuare a lavorare: l'obiettivo è permettere alle donne di scegliere liberamente se andare o no a riposo totale ma, secondo la Cisl, questo rischia di renderle “più ricattabili”.
Per problemi di salute, infortuni o gravidanza, si ha diritto a 5 mesi di inattività senza che questo estingua il contratto di lavoro. Solo in teoria, però, perché in pratica il datore potrà stracciarlo quando gli pare: il mantenimento del rapporto, infatti, è sancito “fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente”. Quindi una tutela finta, rimessa alla volontà del dante causa. Problemi anche sugli atti pubblici devoluti ai professionisti. Ad alcune categorie di autonomi sarà dato il compito di emettere atti della pubblica amministrazione, ma questo – dice la legge – non deve comportare costi per lo Stato. “Il rischio – spiega Soru – è di una fregatura, cioè che nasca l'obbligo di prestare un servizio pubblico senza essere pagati”.
INFINE, le questioni ignorate. Le associazioni chiedevano di passare al giudice del lavoro la competenza sulle liti legali con il committente, così da assicurare una tutela più rapida; il governo ha però lasciato la giurisdizione ai magistrati civili. Inoltre, non si è prevista la contrattazione collettiva con sindacati e associazioni in rappresentanza dei freelance, come avviene – con buoni risultati – in altri Paesi europei. “Noi la proponiamo, ma solo con la pubblica amministra- zione – avverte Soru – per inserire parametri minimi e massimi di pagamento, creare costi standard e dare riferimenti al mercato”.
Il sussidio di disoccupazione per chi ha partita Iva resta un sogno: la dis.coll diventa stabile ma è solo per co.co.co e assegni di ricerca. Il nostro welfare, rigido e di tipo assicurativo, rende difficile che un totale autonomo riesca a pagare contributi sufficienti per ottenere l'assegno. Inoltre, chi per esempio passa da un contratto subordinato a una collaborazione – capita a molti – non può cumulare i tributi dei diversi inquadramenti che ha alle spalle; di conseguenza è penalizzato. La fluidità è l'essenza del mondo freelance e, secondo le associazioni, una legge con l'ambizione di statuto del lavoro autonomo avrebbe dovuto tenerne conto.