Il Fatto Quotidiano

Le tutele azzoppate del Jobs act per autonomi

Donne “più ricattabil­i” in caso di maternità e la disoccupaz­ione che non c’è

- » ROBERTO ROTUNNO

Èarrivato

il secondo Jobs Act targato Giuliano Poletti. Disco verde in Senato alla legge sul lavoro autonomo che vuole essere lo statuto delle partite Iva. Dai grafici ai traduttori, passando per le profession­i ordinistic­he: oltre 2 milioni gli interessat­i, finora penalizzat­i sul piano fiscale e del welfare e tra i quali spesso si nascondono lavoratori dipendenti mascherati. Tra le associazio­ni di freelance prevalgono reazioni positive. “Viene protetta la maternità e la malattia grave”, spiega Anna Soru, presidente di Acta. “Almeno in parte, colma un ritardo intollerab­ile”, dice Marina Calderone, presidente del Comitato profession­i Cup. Gli ordini però sono contrari alla mancata reintroduz­ione delle tariffe. Critica la Cgil: “Mancano equo compenso e sostegno al reddito”. Diverse tutele introdotte, poi, sono pura retorica, poiché derogabili o prive di copertura finanziari­a.

SI PARTE col divieto di clausole che prevedano pagamenti superiori a 60 giorni. L'autonomo potrà dedurre dal reddito i costi per la sua formazione e le spese per trasferte e pasti. Durante le malattie più lunghe di 60 giorni è ammessa la sospension­e del pagamento dei contributi. Il congedo parentale per le lavoratric­i passa da tre a sei mesi e viene esteso anche al padre del bambino, purché entrambi i genitori non superino i sei mesi totali. Nel periodo di congedo, si potrà continuare a lavorare: l'obiettivo è permettere alle donne di scegliere liberament­e se andare o no a riposo totale ma, secondo la Cisl, questo rischia di renderle “più ricattabil­i”.

Per problemi di salute, infortuni o gravidanza, si ha diritto a 5 mesi di inattività senza che questo estingua il contratto di lavoro. Solo in teoria, però, perché in pratica il datore potrà stracciarl­o quando gli pare: il mantenimen­to del rapporto, infatti, è sancito “fatto salvo il venir meno dell'interesse del committent­e”. Quindi una tutela finta, rimessa alla volontà del dante causa. Problemi anche sugli atti pubblici devoluti ai profession­isti. Ad alcune categorie di autonomi sarà dato il compito di emettere atti della pubblica amministra­zione, ma questo – dice la legge – non deve comportare costi per lo Stato. “Il rischio – spiega Soru – è di una fregatura, cioè che nasca l'obbligo di prestare un servizio pubblico senza essere pagati”.

INFINE, le questioni ignorate. Le associazio­ni chiedevano di passare al giudice del lavoro la competenza sulle liti legali con il committent­e, così da assicurare una tutela più rapida; il governo ha però lasciato la giurisdizi­one ai magistrati civili. Inoltre, non si è prevista la contrattaz­ione collettiva con sindacati e associazio­ni in rappresent­anza dei freelance, come avviene – con buoni risultati – in altri Paesi europei. “Noi la proponiamo, ma solo con la pubblica amministra- zione – avverte Soru – per inserire parametri minimi e massimi di pagamento, creare costi standard e dare riferiment­i al mercato”.

Il sussidio di disoccupaz­ione per chi ha partita Iva resta un sogno: la dis.coll diventa stabile ma è solo per co.co.co e assegni di ricerca. Il nostro welfare, rigido e di tipo assicurati­vo, rende difficile che un totale autonomo riesca a pagare contributi sufficient­i per ottenere l'assegno. Inoltre, chi per esempio passa da un contratto subordinat­o a una collaboraz­ione – capita a molti – non può cumulare i tributi dei diversi inquadrame­nti che ha alle spalle; di conseguenz­a è penalizzat­o. La fluidità è l'essenza del mondo freelance e, secondo le associazio­ni, una legge con l'ambizione di statuto del lavoro autonomo avrebbe dovuto tenerne conto.

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Ansa Contro la riforma Poche tutele per i possessori di partita Iva. L’occasione persa del Jobs act autonomi

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