Un detective a caccia di indizi e i “testimoni” della felicità
Di felicità si sono occupati praticamente dall’alba del mondo filosofi, poeti, scrittori, cantautori, cineasti. Ultimo in ordine di tempo Walter Veltroni, che per bontà e affini ha una certa passionaccia mai negata e che al tema dedica il suo terzo lungometraggio, Indizi di felicità, prodotto da Sky Cinema con Palomar, nelle sale italiane il 22, 23 e 24 maggio.
LA CITAZIONE che meglio spiega la trama di questo film è di Marguerite Yourcenar nelle Memorie di Adriano :“Ogni felicità è un capolavoro”. Il racconto comincia con un’antitesi, che è un po’un modo per esorcizzare l’effetto Candide: prima il filmato di un uomo inglese che su un treno invita i passeggeri a cantare con lui Over the rainbow a cui segue un montaggio di attentati, tsunami, terremoti e altri disastri degli ultimi anni. “Si può essere felici in un mondo così duro, così difficile?”, domanda la voce fuori campo del regista, con una non trascurabile dose di naïveté (il dolore accompagna l’uomo da sempre, non è certo una novità). Le risposte sono meno scontate della domanda.
Il punto è, infatti, come si racconta la felicità, il più inafferrabile e desiderato dei sentimenti. Veltroni sceglie la strada della testimonianza già battuta nei precedenti lavori, che qui è più felicemente (è il caso di dirlo) riuscita. Sfilano una trentina di testimoni di fe- licità e l’autore mette in fila gli indizi. È il castingil vero segreto del film: davanti alla telecamera sfilano persone diversissime, storie comuni eppure sempre per qualche verso esemplari, quasi mai sopra le righe. Ognuno mette il proprio tassello, l’indizio appunto, della felicità.
Ci sono vicende prevedibili e altre meno banali: la felicità del sopravvissuto guarito da una malattia o scampato a un attentato o approdato vivo dalla traversata del Mediterraneo; la felicità dei genitori, che incredibilmente però è anche il sorriso della mamma e del papà di Ronny, nato con una lesione cerebrale e vissuto soltanto dieci anni. Ma che anni quei dieci di Ronny, insieme ai tantissimi volontari che a turno andavano ad aiutarlo, a fargli fare gli esercizi, e così tenevano viva la casa.
Altre risposte sono inaspettate, come quella di uno degli scienziati che ha scoperto la particella di Dio, la particella “ma l e d e t t a ” che d a cinquant’anni si cercava (in un minuto, tra l’altro, spiega in maniera perfettamente comprensibile cos’è il “Bosone di Higgs”). Nel mondo una moltitudine di ricercatori si era lanciata alla scoperta dei segnali di questa particella, ma per una generazione intera, gli esperimenti non avevano prodotto nulla: “La felicità è quando scopri qualcosa che nessun altro ha mai visto prima. Ti sporgi su quel bordo sapendo che l’umanità ha sviluppato una conoscenza che arriva fino a quel punto e tu stai guardando un pochino più in là. Quella sensazione è indescri vibile”. E invidiabile.
Strada facendo, incontriamo alpinisti, surfer, Prometei in deltaplano, un anziano ciclista scalatore; tante case diverse per la felicità, come diverse sono le declinazioni: la natura, il mare, la libertà. Ma ci sono anche un giovane seminarista tifoso della Samp a cui i compagni di curva chiedono benedizioni in caso di rigori o punizioni e tre monaci all’eremo di Monte Giove. “Se dovesse dire ad un bambino che cos’è la felicità, cosa gli direbbe?”. Risposta di padre Natale: “Eh no, io me lo faccio dire dai bambini cos’è la felicità”. E ancora: “C’è un giorno della sua vita che vorrebbe rivivere?” “Domani”.
Mario, filosofo montanaro, è il protagonista di un discorso attorno all’uomo: “Noi che siamo così tecnologici se ci tagliamo un braccio, non esce più. Se
Le storie
Dal superstite di un attentato allo scienziato che ha scoperto la particella di Dio mai vista prima
tagliamo una gamba a una rana gli ricresce. I miei cani capiscono quello che gli dico io; ma io non capisco quello che mi dicono loro. Le rondini fanno migliaia e migliaia di chilometri e arrivano in un punto preciso, noi senza la tecnologia ci perdiamo. Allora, chi è più intelligente?”. Enfin:“Le montagne bisogna vederle dal vivo, non nei filmati. Come una bella donna, insomma è bello vederla ma toccarla è meglio”.
CAPITA anc he d’incrociare la Storia: se dopo Auschwitz è impossibile scrivere poesie, dopo Auschwitz si può essere ancora felici? Sì, e proprio “grazi e” ad Auschwitz , anzi “to rn an do ” ad Auschwitz. Racconta Sami indicando il numero tatuato sul braccio: “Quando lo vedo sento Tieni duro Sami, tu ce la devi fare”, la frase che suo padre gli disse nella baracca del campo prima di morire. “Un sopravvissuto non è una persona normale come tutti gli altri, ha una piaga che non si chiude. Ha dei silenzi, delle depressioni, degli incubi. Però è vivo”. La felicità di Sami è andare nelle scuole a raccontare: “C’è la gioia di aver trasmesso qualche cosa di importante. Da che lo faccio sono felice. In questi undici anni io sono felicissimo”.