C’è un sospettato per il rogo delle bimbe rom
L’inchiesta sulle tre sorelle (4, 8 e 20 anni) uccise
C’è un sospetto per la strage del quartiere romano Centocelle, dove sono morte due bambine e una ragazza rom. Un nome che gli investigatori della Squadra mobile della capitale hanno ricavato dai primi interrogatori, durati diverse ore e probabilmente un volto – o almeno qualche indicazione fisica – che gli investigatori hanno tratto dai video registrati dai circuiti chiusi.
LA PISTA PUNTAdirettamente a uno scontro interno, maturato tra i “campi” di Roma, anche se al momento i contorni della vicenda appaiono ancora nebulosi. Tante sono le testimonianze
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La Barbuta, area alle porte di Ciampino, da dove era fuggita la famiglia Halilovic – che riportano di minacce. Su Facebook due giorni prima del raid incendiario contro il camper posteggiato su via Guattari, di fronte al centro commerciale La Primavera, erano apparse minacce pesanti contro il capofamiglia Romano: “Quando muori nessuno arriverà da te”. Parole scritte da una persona con cognome slavo – che ha tra gli amici sul social diversi esponenti della famiglia Halilovic – due giorni prima dell’incendio, alle quali il padre delle bambine morte nel rogo risponde con un “Non capisco, dimmi”.
Dietro la strage appare la lunga fuga della famiglia Halilovic, terminata nel modo più tragico. Cercavano un luogo lontano dai campi, dove erano facilmente individuabili. Quel parcheggio sembrava un angolo sicuro, tranquillo. Forse una sistemazione provvisoria, in attesa che le acque si calmassero. I tanti fiori sul selciato che si sono accumulati il giorno dopo il rogo dimostrano che la loro morte ha colpito profondamente la comunità di Centocelle. Erano gentili, evitavano problemi, raccontano le testimonianze raccolte tra i commessi del vicino centro commerciale. Ricostruire il contesto dove può essere maturata la strage non è affatto semplice. Il mondo rom della capitale è frastagliato, con un rimescolamento di etnie – spesso rivali tra di loro – avvenuto durante la giunta di Gianni Alemanno. All’epoca molti insediamenti abusivi vennero chiusi, trasferendo le famiglie nei pochi campi attrezzati. L’insediamento de La Barbuta – da dove erano usci- ti gli Halilovic circa un mese fa – che tradizionalmente ospitava soprattutto sinti ha visto l’arrivo di famiglie slave, che oggi si dedicano soprattutto all’estrazione dei metalli dai rifiuti speciali, come ha raccontato il documentario Anello di fumo del 2014. L’altro campo legato alla storia della famiglia distrutta dal rogo è quello di via Salviati, a pochissima distanza dal parcheggio del centro commerciale Primavera. Da qui venivano i due aggressori della ragazza cinese Zhang Yao, morta dopo uno scippo avvenuto in prossimità del campo il 5 dicembre scorso. E da qui sarebbero arrivate le minacce agli Halinovic, secondo la testimonianza di alcuni parenti residenti nel campo di La Barbuta, raccolte in video da fanpage.it.
IERI la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato una veglia di preghiera per ricordare Francesca, Angelica e Elisabeth, le tre sorelle rom di 4, 8 e 20 anni morte nel rogo. “Oggi nel nostro Occidente, nella nostra Italia, nella splendida città di Roma – ha detto il vescovo Paolo Lojudice, durante l’omelia – nessun bambino può vivere in mezzo alla strada, rosicchiato dai topi, arso vivo. Uccidere un bambino è uccidere la società, il futuro, noi stessi. L’amministrazione pubblica poteva fare di più, ma anche la comunità cristiana, troppo spesso presa da altre cose e troppo discriminante”. Anche se la pista razziale è stata subito scartata, rimane sullo sfondo la condizione di sostanziale abbandono e di discriminazione nei confronti dei rom e dei sinti, soprattutto nella capitale. E ieri sui social non sono mancati i commenti apertamente razzisti nei confronti delle vittime della strage.
Il vescovo Monsignor Lojudice: “Comune poteva far di più: nessun bambino può vivere così”