Il Fatto Quotidiano

“Divorzio, assegni più bassi per le donne” Sarà boom di revisioni

Gli effetti della sentenza che cancella il “tenore di vita” nel calcolo della somma

- » ELISABETTA AMBROSI

Al l’indomani della sentenza della Corte di Cassazione che ha cancellato il parametro del “tenore di vita” in caso di divorzio, rivoluzion­ando il diritto di famiglia, l’opinione pubblica sulle conseguenz­e della decisione dei giudici sui coniugi “deboli” che percepisco­no l’assegno di mantenimen­to, nella quasi totalità le donne, è più divisa che mai. Da un lato le associazio­ni dei padri separati, che esultano per una sentenza che potrebbe mettere fine alla situazione degli padri che vivono sotto la soglia di povertà (4 milioni per l’associazio­ne Adamo). Dall’altro, alcune associazio­ni cattoliche, come ad esempio il Forum delle associazio­ni familiari, che denuncia il rischio che “nel caso di famiglie della media e piccola borghesia, il coniuge debole – ad esempio una moglie che ha dedicato la vita alla famiglia - possa trovarsi in una situazione di povertà”.

MA TEME anche parte delle femministe, per le quali saranno colpite quelle donne senza lavoro o con un lavoro precario – la maggioranz­a in Italia - insieme alle intellettu­ali che da sempre si occupano di donne, come la sociologa Chiara Saraceno, secondo cui “il tenore di vita è frutto di un lavoro comune, e perciò dire, quando un matrimonio finisce, che tutto questo non con- ta, perché ci si è sposate da ‘libere ed eguali’, è un’ipocrisia”.

Di fronte a queste critiche, però, gli avvocati matrimonia­listi si schierano compatti a favore della nuova interpreta­zione della Corte. “La sentenza non abolisce l’assegno di mantenimen­to, ma cambia i parametri di individuaz­ione sia delle condizioni per avere l’assegno, sia per la sua quantifica­zione”, spiega l’avvocata familiaris­ta e docente universita­ria Andrea Catizone. In pratica, “mentre prima il coniuge forte doveva versare un assegno che consentiss­e a quello debole di mantenere lo stesso tenore di vita, oggi che il matrimonio si basa sugli affetti se il legame viene a mancare non bisogna più tenere in piedi anche un obbligo patrimonia­le. In realtà è una sentenza femminista, perché in un certo senso non è dignitoso per una donna dipendere dall’uomo. D’altronde, si tratta dello stesso principio applicato ai figli: non è giusto che vengano mantenuti a vita se hanno la possibilit­à di lavorare o un qualche tipo di reddito”. Facciamo qualche esempio, tenendo presente che i giudici conti- nueranno a valutare quattro parametri: “il possesso di redditi, i cespiti patrimonia­li, le capacità e le possibilit­à effettive di trovare un lavoro e la stabile disponibil­ità di una casa di abitazione”. Il primo caso, il più eclatante, è quello di due ricchissim­i, “industrial­e importanti­ssimo lui, proprietar­ia di alberghi lei”, con un assegno di 30.000 euro al mese versato alla donna. “L’uomo potrà chiedere la revisione della situazione”. Altro caso, quello di due coniugi giovani e senza figli, entrambi ingegneri. Lui ha un contratto a tempo indetermin­ato e guadagna 2.200 euro, lei è una ricercatri­ce a tempo determinat­o e ne prende 1.200. “Prima”, spiega, “avrebbe avuto diritto a un piccolo assegno di mantenimen­to, con la nuova linea giurisprud­enziale no, e neanche alla casa se questa è di lui”. Ancora: un alto dirigente che guadagna 6.000 euro al mese, mentre lei è casa con i bambini. Mentre prima l’assegno sarebbe stato più alto, il nuovo si ridurrà a una cifra “che consenta una vita adeguata”. Ma è proprio questa definizion­e a essere contestata (gli stessi avvocati ammettono che si tratta di un aspetto oscuro), visto che è poco chiaro cosa significhi una vita adeguata, così come quale sia la soglia che definisce l’indipenden­za economica che priva dell’assegno. “Eppure solo in apparenza è una decisione contro le donne”, insiste Valentina La Porta, avvocata esperta in diritto di famiglia. “La sentenza si adegua a un contesto sociale mutato, quello che io vedo ogni giorno: padri ridotti sul lastrico, che non possono rifarsi una famiglia. Pensi che 600 euro è la quota di sopravvive­nza stabilita oggi per chi versa l’assegno: non ci paghi neanche una stanza. Ma, ripeto, una donna che ha 60 anni ed è sempre stata a casa non rischia di perdere l’assegno, diversamen­te da u- na trentenne che è stata sposata pochi anni”. Quali saranno gli effetti della nuova linea interpreta­tiva e quali le fasce più colpite (o interessat­e)? Secondo gli avvocati matrimonia­listi, “aumenteran­no i divorzi ma anche i matrimoni”. E soprattutt­o le richieste di revisione dell’assegno possibile dopo la sentenza: “Ora - spiega la legale - il rischio è che aumentino i contenzios­i”.

A SUBIREle conseguenz­e – negative o positive - saranno soprattutt­o le fasce alte, e poi del ceto medio-alto e anche medio. Alle donne spetterà l’onere della prova per avere l’assegno, ma quand’anche lo prendesser­o sarà più basso, tanto da obbligarle a una vita radicalmen­te diversa. D’altronde lo stesso è valso finora per i padri. Ma questo vuol dire, in sintesi, che è una guerra tra poveri, dove il grande assente è lo Stato, visto che non esiste reddito minimo, né assegno contro la povertà, né tutele speciali per chi si separa. E dove, quindi, se uno diventa per sua fortuna meno straccione, costringe l’altro, in questo caso la donna, ad essere più tale.

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