La grande truffa di Hirst e il gelo cosmico tedesco
AVIVA ARTE VIVA
A Venezia sono presenti 120 artisti provenienti da 51 Paesi. Le opere sono collocate in un percorso di nove Trans-Padiglioni, dal centrale ai Giardini intitolato “Pavilion of Artists and Books” fino al “Pavilion of Time and Infinity” all’Arsenale. Nella sezione “Open Table”, è anche possibile pranzare (prenotando) con artisti come Kiki Smith o Olafur Eliasson CCADEMIA. Alle Gallerie de ll’Accademia, prima mostra mai dedicata a Philip Guston ( 1913- 1980), uno dei maestri dell’arte americana. Una pittura colta che si materializza a Venezia, che dimostra anche una fascinazione dell’artista per la città. 50 le tele, suddivise per nuclei tematici, e 25 disegni dal 1930 al 1980, un confronto tra le opere con i testi di poeti che stimolarono il suo sguardo, da D.H Lawrence a Yeats, da T.S Eliot, a Stevens e Montale. ( Philip Guston and the Poets. Fino al 3 settembre 2017)
COREA. Il padiglione ai Giardini più kitsch (all’esterno) e divertente /all’interno). Cody Chol e Lee Wan, che inseguono il tema dell’identità dopo il conflitto che ha generato due stati separati, si dividono lo spazio in maniera opposta. Quanto uno è riflessivo (libri, ricordi, appunti, connessioni letterarie e visive) tanto l’altro è provocatorio: dalle scritte colorate stile Las Vegas fino al Palo per Lap Dance, in attesa delle più eccitanti performance lagunari.
GERMANIA. Il Padiglione tedesco si stacca dal resto, nulla del tema “vitale” viene seguito. La Germania tende alla sintesi di un vuoto spaziale pneumatico super tecnologico senza un senso preciso. Blindato, scortato, circondato da gabbie e infine con un costoso pavimento trasparente, si passeggia nel siberiano e altero spazio vuoto. Anne Imhof, classe 1978, vi centellina le sue complesse performances, arricchite dalla presenza di due bellissimi – forse crudeli, forse pacifici – dobermann. Suggerire metafore con universi finanziari e planetari è del tutto scontato. HIRST. Inevitabili file per il celebre discolo britannico Damien Hirst a Punta della Dogana e Palazzo Grassi (fino al 3 dicembre). Dieci anni di lavoro per mettere in scena la più grande truffa dichiarata della storia dell’arte. Tre asur es from the Wreck of the Unbeliev ab le narra dell’in es is te nt e rinvenimento di un imponente tesoro custodito nel relitto di una nave appartenuta a Cif Amotan II, un liberto di Antiochia, di cui l’artista si impossessa attraverso copie in bronzo, argento e marmo. Il classico diventa kitsch in un batter d’occhio, con centinaia di opere, alcune immense, che divertono, riconsegnando l’arte al fantasy, al racconto e alla potenza del committente.
L AC HA PE LL E . Non manca, ne ll ’ oceano di fibrillazione biennalistica, la monografica di uno dei più importanti e dissacranti fotografi contemporanei, David LaChapelle (presso i Tre Oci, fino al 10 settembre). Oltre 100 immagini surreali, barocchi e pop che ripercorrono, dagli Anni 90 a oggi, la sua eclettica carriera. I Soggetti le celebrità, Michael Jackson, Hillary Clinton, Muhammad Ali, Jeff Koons, Madonna, Uma Thurman, Andy Warhol, David Bowie e altri, immagini utilizzate come merce prodotta in serie, consapevolmente sacrificata sull’altare del sistema fondato sull’icona. Al contrario le nuove serie si pongono il fine di riflettere su questioni metafisiche come il viaggio dell’anima dopo la morte, la gioia e le rappresentazioni del paradiso.
ROBERTO CUOGHI, ovvero un terzo del nuovo Padiglione Italia che, dopo anni di sgarbismi, ammucchiate e divisioni istituzionali, tira un sospiro di sollievo nel progetto di Cecilia Alemanni: “Il mondo magico”, con Giorgio Andreotta Calò, Adelita Husni-Bey e, appunto lo sfuggente e misterioso Roberto Cuoghi (Modena 1973). La sua area supera l’area 51, Blade Runner, Matthew Barney: un laboratorio sospeso tra passato (con gli assistenti che fondono resine) e futuro (corridoi di plastica a bolle che contengono stanze di riposo). Si soffoca e si prega perchè la figura, ripetuta, insistita, messa sotto prova di muffe, forni, freddo, umidità è quella di Cristo. Sempre la stessa sagoma, crocifissa. Un ambiente in cui si respira a tratti, si soffoca di puzza di trasformazione alchemiche in atto: ma infine resta lui, appeso e dilaniato: la storia religiosa infinita del nostro paese. Probabile vincitore della Biennale 2017.
VATICANO. Il Padiglione che non c’è. Nel 2013 esordisce in Biennale – grazie alla determinazione di Monsignor Gianfranco Ravasi – con un grande nuovo spazio all’Arsenale ed un ottimo lavoro di Studio Azzurro. Segue nel 2015 con un progetto di Micol Forti, poi si dissolve. Suggerisce il vaticanista Notarnicola che in una Chiesa “caratterizzata da una spending reviewprecisa avviata da Papa Francesco, i costi richiesti da questa partecipazione avrebbero potuto destare non poche critiche al Vaticano. Per una volta dunque la cultura ha fatto un passo indietro”. Il Papa controcorrente è stato, in qualche modo, fortunato: il vuoto cristiano è stato laicamente colmato. Nessun altro artista avrebbe potuto celebrare al meglio la figura di Cristo come Roberto Cuoghi nel Padiglione Italiano.
SULLA BIENNALE ne sa una più del diavolo: è Pino Boresta, romano, 55 anni, da 30 indomito provocatore urbano e situazionista, talvolta simpaticamente molesto. Tutte quelle smorfie appiccicate sui pali e sui cartelli stradali di Roma (e non solo, basta arrivare ad un appuntamento artistico, che sia Kassel o Zurigo) portano le sue espressioni facciali. Allegre, incazzate, irriverenti, smaniose. Non si ferma mai, è logorroico, ma non entra nei circuiti ufficiali nemmeno quando sarebbe più che lecito.
Così è stato per anni anche il suo tentativo di partecipare alla Biennale veneziana. Una delle sue opere più celebri, del 2013, si intitolava proprio: “Perché NON ME alla Biennale di Venezia?”.
Lo domandò all’allora direttore artistico Massimiliano Gioni, urlando durante la conferenza stampa ufficiale. Mentre il presidente Paolo Baratta pensava si trattasse di una performance ideata dallo stesso Gioni, fu portato fuori dall’incontro a forza. Ha appena attraversato un momento economico particolarmente difficile, ma è - ovviamente - qui a Venezia, all’insegna dell’impossibilità dell’arresa.
Boresta, perché è qui quest’anno? L’hanno invitata finalmente?
Sono qui proprio perché, come sempre, non sono stato invitato. Nonostante le mie difficoltà devo dimostrare che ancora una volta “Io vivrò”, nonostante la resistenza di tutti.
Di recente però ha avuto una dimostrazione di affetto e generosità da parte anche dell’ambiente artistico. Il suo crowdfunding per evitare lo sfratto suo e della sua famiglia, ha raggiunto gran parte dell’obiettivo. È più stupito o contento?
Mi sono emozionato, forse non me lo aspettavo. Molte persone, anche insospettabili, mi hanno dimostrato la loro stima in questo modo laterale. Da un bisogno è nato anche uno scambio per me sostanziale: a tutti loro ho donato un’opera come le storiche “Smorfie Texture” e gli ormai introvabili adesivi delle smorfie urbane. Forse la mia arte trentennale ha trovato un altro modo di essere percepita, oltre le rassegne internazionali a cui non ho mai avuto accesso.
Sta visitando la Biennale durante l’ambita vernice dei tre giorni ‘vips’. Cosa ne pensa? Vede un cambiamento nelle ultime edizioni? Sostanzialmente no, c’è un’altra volta di tutto per tutti i gusti. La crescita delle azioni performative ne è un esempio. Ora è una performance continua, e mi vien da ridere, perché le proponevo già più di venti anni fa, compresi gli Artblitz clandestini, che di tanto in tanto, quando meno ve lo aspetterete, rifarò. Contro (o a favore, chissà) il sistema dell’arte che, pur essendosi privatamente ammorbidito, rappresenta sempre una belva in agguato, un ostacolo insormontabile. Contro il sistema o a suo favore? Vuole ancora partecipare? Magari alla Biennale 2019?
È un punto cruciale, poiché le mie azioni, che appaiono contro, non fanno altro che pruomuoverlo ed appoggiarlo. La gente che mi vede in strada (compresi gli interventi di Street Art) apprende proprio da me, il perenne escluso, cosa sia l’arte contemporanea. Prima o poi un Direttore Artistico lo capirà.
L’AREA ESPOSITIVA DI BERLINO Blindata e circondata da gabbie: si passeggia su un pavimento trasparente sopra un siberiano spazio vuoto
DAMIEN, IL DISCOLO BRITANNICO
Va in scena l’inesistente rinvenimento di un imponente tesoro custodito nel relitto di una nave antica DAVID LACHAPELLE
Non manca, nella fibrillazione biennalistica, la monografica di uno dei più importanti e dissacranti fotografi contemporanei