Il Fatto Quotidiano

La sai l’ultima su Consip? È tutta colpa di Woodcock, Noe e Fatto

Tutti contro il pm napoletano. E babbo Renzi calunnia il nostro giornale

- » MARCO LILLO

p Il padre dell’ex premier sostiene di aver saputo di essere indagato dopo aver parlato con Marco Lillo . Ma è l’ennesima menzogna per provare a salvarsi Pubblichia­mo gli sms di quelle conversazi­oni

La mossa disperata di Tiziano Renzi è emersa per caso grazie all’interrogat­orio del capitano Gianpaolo Scafarto: Tiziano Renzi ha calunniato il sottoscrit­to per non accusare i veri colpevoli della fuga di notizie a suo beneficio nel caso Consip.

Al capitano Gianpaolo Scafarto durante l’interrogat­orio dell’altro giorno i pm romani hanno fatto notare tre fatti che riguardano anche me:

1) “vi sono due intercetta­zioni telefonich­e tra Renzi e due amici (il 22 e il 28 dicembre 2016) in cui il primo dice di avere saputo dell’indagine dal giornalist­a Marco Lillo del Fatto”;

2) “Tiziano Renzi ha dichiarato nel corso del suo interrogat­orio (il 3 marzo Ndr) di avere saputo la circostanz­a nei primi di novembre 2016, prima della pubblicazi­one dell’articolo su La Verità del 6 novembre del 2016” ovviamente da Lillo;

3) “dai tabulati risultano effettivam­ente contatti tra Renzi e Lillo in quei giorni”.

Dopo avere squadernat­o i tre elementi davanti a Scafarto i pm gli hanno chiesto perché non lo avesse scritto nell’informativ­a. Scafarto ha detto di non ricordare le telefonate. Ma avrebbe potuto rispondere: “perché non mi metto a verificare e a riportare qualsiasi puttanata dice il signor Renzi, caro procurator­e. Se avesse detto al telefono che lo aveva appreso dalla Madonna di Medjugorje o da lei, non lo avrei messo lo stesso. Sa com’è, gli indagati che sanno di essere intercetta­ti depistano”. Invece i Carabinier­i di Roma devono avere ritenuto credibile questa favola al punto che hanno consegnato un’informativ­a il 9 maggio in cui si dice che dai tabulati telefonici ci sono ‘contatti’ tra il sottoscrit­to e Tiziano Renzi. Bingo! Uno potrebbe mettersi a ridere al pensiero del Fatto che svela a Tiziano Renzi di essere indagato. E soprattutt­o non lo scrive.

Io ai primi di novembre non conoscevo l’indagine su Tiziano Renzi e sono certo che si tratta di un’accusa assurda ma ieri - quando i colleghi mi hanno contestato come a un indagato il verbale - ho cercato di capire la storia dei ‘contatti telefonici’.

Nei miei tabulati Vodafone non risulta nessuna telefonata tra il mio cellulare e Tiziano Renzi da agosto in poi. Gli sms nel tabulato fornito dall’opertore a fini amministra­tivi non ci sono ma per fortuna nella memoria del cellulare sono rimasti con tanto di testo e posso pubblicarl­i a fianco.

Io ho scritto a Renzi Sr il 2 novem- bre per chiedergli la sua versione sulla brutta storia del suo ex partner in affari, Mariano Massone. Quel giorno, il 2 novembre, Giacomo Amadori su La Verità non scrive dell’indagine di Napoli ma del processo di Genova.

Io non solo non ho parlato dell’inchiesta di Napoli con Tiziano Renzi ma non sapevo proprio nulla fino al pezzo di Amadori del 6 novembre. Solo il 9 novembre, come due colleghi di Napoli e tre investigat­ori possono testimonia­re, sono andato a Napoli a verificare la notizia, senza riuscirci perché in Procura e in Guardia di Finanza dissero (mentendo come era loro dovere) che erano tutte balle.

Torniamo al 2 novembre. Quel giorno Amadori scrive “Massone, con i suoi legali e i suoi più stretti collaborat­ori, minaccia da tempo di poter sganciare contro Renzi senior un documento bomba”. Io scrivo a Tiziano: “Le volevo parlare di questo pezzo de La Verità sui rapporti con Massone”. Lui risponde “sono in apnea” e non mi parla. Lo scambio di battute che si legge accanto significa: “picche”. Perché allora Tiziano Renzi afferma in un interrogat­orio che io lo avrei avvertito dell’indagine di Napoli ai primi di novembre? Perché racconta una balla ai pm rischiando la calunnia? Perché è disperato certo ma anche perché si crede un gran furbone.

Renzi sa da ottobre dell’indagine di Napoli. Lo ha raccontato il sinda- co di Rignano, Daniele Lorenzini prima a La Verità (che lo scrive il 6 novembre) e poi ai pm.

Il 5 dicembre Tiziano è messo sotto intercetta­zione e il 7 dicembre il solito uccellino lo avvisa come dimostra la telefonata dell’autista del camper di Matteo, Billi Bargilli a Russo (‘ha detto il babbo di non chiamare più’).

Tiziano Renzi è disperato. Pensa: “non posso dire chi mi ha detto veramente delle indagini, allora dico al telefono che è stato Lillo. E’ una balla, certo, ma è credibile perché quello sa sempre tutto e io i contatti con lui li ho avuti. Ora dico la balla al telefono a più persone così magari gli investigat­ori ascoltano e credono sia vero”. Poi va all’interrogat­orio a marzo e ripete le balle delle telefo- nate intercetta­te, a sua saputa.

L’enormità della cosa è tale che i magistrati non le danno peso. Invece un peso ce l’ha. Dimostra di che pasta è fatto il padre di Matteo Renzi. Io ho parlato al telefono 3-4 volte con lui nel 2014-2015 della sua famiglia e della sua società. Mi era anche simpatico e lo ritenevo un democristi­ano di provincia un po’ fanfarone. Mi fa pena pensare che nella disperazio­ne un signore di 65 anni con un figlio segretario del Pd e 9 nipoti sia arrivato a tanto. Matteo Renzi ha sostenuto che va fiero di suo padre e che Tiziano gli ha insegnato i valori di Zaccagnini. Qualcuno gli spieghi la differenza tra un padre della patria e un padre di Matteo Renzi.

L’informativ­a

Al capitano Scafarto contestata anche un’omissione: non scrisse questa balla

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Henry John Woodcock, Giampaolo Scafarto e Tiziano Renzi
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Ansa Megistrati e carabinier­i Il capitano del Noe, Giampaolo Scafarto, e il Procurator­e capo di Roma, Giuseppe Pignatone. Al lato, gli articoli del Fatto su Consip
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