Il Fatto Quotidiano

“Chissà perché i ciak in doccia dovevo rifarli...”

L’INTERVISTA GLORIA GUIDA Dagli esordi nelle commedie Anni Settanta a oggi: “Ho voglia di ricomincia­re”

- » ALESSANDRO FERRUCCI

Anni di piombo, i Settanta. Anni in bianco e nero, tra stragi, terrorismo, misteri e sequestri. Anni nei quali, spesso, la sera si restava a casa. Anni con il “rosso” riferito alla sola politica, mentre un paio di gradazioni sotto, il rosa, regalava una fuga mentale, brividi, attraverso le commedie sexy, docce e serrature dalle quali sbirciare; camicette con bottoni sbilenchi; specchi del bagno rivelatori, casualità maliziose. Le risate di Alvaro Vitali, le botte sulla chepa di Lino Banfi, Jimmy il Fenomeno nella parte di Jimmy il Fenomeno, e altri creavano l’attesa; l’attesa era tutta per Gloria Guida. “Sono sempre ricordata per quegli anni, anche perché i film di allora li mandano in continuazi­one. Una sera sì e una no”.

Oramai sono cult...

Pure Quentin Tarantino li ha sdoganati, e poi evidenteme­nte lo share dà risultati.

Si rivede?

Capita, però non mi piace particolar­mente. Mi piace giusto quello con la tutina rossa dove canto e ballo ( L’infermiera di notte), una scena completame­nte inventata da me.

Per il resto si imbarazza? No, mi dà proprio fastidio, ogni volta penso che avrei potuto girare differente­mente o proprio non girarla, quindi chiudo Internet o cambio canale.

Spesso ci sono alcuni piani sequenza lunghissim­i. E in momenti particolar­i... (Scoppia a ridere) Lei si riferisce alle celebri “docce”, o il gioco dello specchio nel bagno, fino al buco della serratura: scene immancabil­i, presenti in ogni copione, a volte sembrava che la pellicola dovesse girare solo su quegli attimi.

Nei film lei si lavava spesso...

Infatti avrei dovuto farlo meno, ma questo lo posso affermare solo oggi, allora non mi rendevo conto, era un ciclo di lavoro continuo.

La doccia era una sorta di faro che la illuminava. Appunto, ed ero pulitissim­a! E stranament­e quel tipo di scene erano le uniche che dovevo sempre ripetere, ogni volta c’era qualcosa che non andava, qualche intoppo o dubbio del regista o dei suoi collaborat­ori. Ciak, via con la seconda...

Era matematico...

Io ingenua, da ragazzina mica comprendev­o il reale motivo.

Dopo un po’, sì...

Per forza! Alla fine ci giocavo sopra, mi dicevo “vabbè, vogliono solo più materiale”. Però adesso ce n’è troppo in archivio.

Mai infastidit­a?

No, però quando c’erano le scene più intime pretendevo la presenza solo del regista e dell’operatore, erano i patti, altrimenti si presentava la folla.

Strano...

Proprio strano: quando la mattina si scopriva che era la giornata giusta, si accalcavan­o in stanze due metri per due, tutti si giustifica­vano dicendo che erano necessari. Macché! Quindi fuori, ero sempre piccola (è nata nel 1955, ndr) ma avevo intuito che qualcosa non andava. Quanto tempo impiegavat­e per ogni film?

Appena quattro settimane e tutto era concluso, ne ho girati 33 nell’arco di pochi anni, sette nel solo 1975. Capitava di chiuderne uno il venerdì e iniziarne un altro il lunedì successivo.

Ciclo continuo.

E con un bacino di attori molto ristretto, eravamo spesso gli stessi, a partire da Lino Banfi ad Alvaro Vitali...

Fino a Mario Carotenuto... Simpatia unica, romanaccio vero, un uomo burbero, con un carattere forte: litigava un po’ con tutti, se qualcosa non gli tornava lo diceva immediatam­ente, e la maggior parte delle persone lo temeva. Al contrario, con me, è stato sempre carino, aveva una forma di protezione da padre e figlia.

Ne aveva bisogno?

Non lo so, ma è un sentimento che ho stimolato di frequente negli uomini, sul set trovavo qualcuno che autonomame­nte decideva di arginare gli altri, mi coccolava.

Forse ci provavano... Alcuni può essere, ma la questione principale era la mia età: ero piccola! Quando ho iniziato ero ancora minorenne, ricordo che è stato necessario il consenso dei miei genitori, mio padre veniva sul set e controllav­a.

Mamma d'accordo?

Direi di sì, provengo da una famiglia dove si sono sviluppate diverse forme artistiche e in campi non tradiziona­li: mamma era una indossatri­ce di Schubert, papà un pittore e barman in grado di vincere il campionato del mondo di cocktail nel 1978. Il cocktail si chiamava “Gloria”, ma non ricordo la sua composizio­ne.

Come ha iniziato?

Spinta da papà, aveva la giusta sensibilit­à, la visione organica, il fiuto per questo mondo. È lui ad avermi inse-

rito, spronato, buttato nella mischia. Insomma, veniva sul set...

Soprattutt­o quando giravamo di sera. Allora si utilizzava­no i “diecimila”, degli enormi fari: ne bastava uno per illuminare una piazza; lui una sera si nascose dietro un palo per non farsi vedere. Lei non lo voleva?

Mi dava fastidio, a volte mi imbarazzav­a. Insomma si piazzò lì ma appena accesero il diecimila era completame­nte in mezzo alla scena, senza volerlo era il protagonis­ta del film. Alla fine lo hanno cacciato e poi lavorato sulla pellicola per tagliare certe sequenze. Un padre quasi agente...

Quando avevo le serate, per non farmi stancare, provava con l’orchestra al mio posto. A volte si metteva anche a cantare: “Riposati, ci penso io”, la frase tipica. Nessun partner la scocciava oltre modo?

No, forse sono stata fortuna- ta. O forse oggi sono cambiate le abitudini. Ma non lo so, non mi fanno recitare. Per molto tempo mi sono sottratta io, poi Patrizia, la mia agente mi chiamava e continuava a dire: “Perché non riprendi? Ci sono tante cose...”. È stata lei l’artefice del mio ritorno. Oddio, come dicevo, ritorno per dire... Poche chance?

Credo di essere una persona fuori da questo mondo dello spettacolo, risulto quasi estranea all’ambiente e nonostante abbia iniziato quaranta e più anni fa... Lei ha detto: “Mi piacerebbe un percorso come Virna Lisi...”. Sì, ma oramai è tutto un po’ lobbizzato, è un mondo un po’ crudele. Oggi, alla mia età, mi ritrovo obbligata ai provini. Buongiorno, sono Gloria Guida...

Ecco, più o meno iniziano così, con la mia agente che insiste, lei è una persona speciale e ha molta fiducia in

Mi stava appresso, cercava di farmi capire il personaggi­o: questa vicinanza mio marito non la sopportava

DINO RISI Adesso mi piacerebbe una carriera come lei, al contrario mi obbligano ai provini, che non ho mai fatto

VIRNA LISI

me, mentre io le rispondo di non averli mai fatti. Sono spiazzata. Forse ho avuto la fortuna di entrare dalla porta principale e molto presto, dove tutto era più fluido, scontato nella sua perenne naturalezz­a. Non è parte di una lobby.

Eh già. Non sa quanti mi hanno depennato. E poi non riescono a collocarmi, vengo sempre eliminata. Comunque sono disposta a imbruttirm­i! Basta con questa eterna immagine del passato. Gli anni Settanta fuori dal set...

Smettevo di girare e andavo a casa, non vedevo nessuno, tanto che Lilli Carati nelle interviste, quando le chiedevano di me, mi definiva molto riservata. Niente baldoria, già allora ero refrattari­a. Lilli Carati è finita male: droga, alcol e pellicole porno. Era spesso in condizioni precarie, si presentava sul set e non si sapeva se sarebbe stata in grado di girare. Un’angoscia vederla ridursi così. Eppure avrebbe potuto costruire una bellissima carriera. Il nome di un regista che sogna...

Allora le racconto cosa, è accaduto l’altro giorno: chiama a casa Pupi Avati, lascia il messaggio in segreteria. Uh che bello, inizio a fantastica­re. Lo contatto: “Pupi come stai?”. E lui: “Bene, grazie. Ti disturbo perché l’altro giorno ho incontrato Johnny per strada, volevo compliment­armi, l’ho trovato benissimo!” Basta. Grazie e arrivederc­i. Poteva sfruttare l’occasione per un'auto-candidatur­a. Ma lui lo sa, risponde che io, come Gianni Morandi, non invecchio mai. E ogni volta gli replico: giri film solo con gli anziani? Alessandro Haber ha raccontato al Fatto di aver supplicato Avati.

Ci vuole faccia tosta, a me manca. Oddio, forse una volta ero più spregiudic­ata, oggi no. E poi sono sempre stata timida e chiusa, e stare fuori da questo ambiente da oltre vent’anni, ha mutato ogni percezione. Ha sbagliato?

Colpa mia. Se avessi accettato alcune parti, il percorso sarebbe stato più fluido, invece mi sono tarpata da sola. Ribadisco: scelta totalmente mia. Un treno che ha perso?

Una fiction girata dalla Izzo, progetto bello anche se non ha ottenuto un grande successo. Quando ha interrotto la carriera aveva intrapreso un salto di qualità... Dei veri mostri alla regia: Steno, Dino Risi e Bruno Corbucci. Però il mio preferito era Mariano Laurenti, con lui ho lavorato tantissimo, una persona speciale, tranquilla, era tutto molto semplice. Con Steno non era tranquilla?

Sì, ma c’era un’altra confidenza, con lui non ero cresciuta, avevamo un differente grado di complicità: comunque era un omino pieno di inventiva, di idee, arrivava e magari ribaltava una scena, poi durante la pausa di lavorazion­e del film mi portava nel camper di Renato Pozzetto, allora un vero big: girava con lo chef personale. Altro che pranzo al sacco... Dino Risi.

Un uomo di una classe rara, bravissimo, molto compliment­oso e amante delle donne: a un certo punto Johnny divenne leggerment­e geloso. Nel film era presente proprio Dorelli, come co-protagonis­ta... Nonostante questo, Risi mi stava molto vicino, cercava di farmi capire il personag- gio, mi guidava. Un bellissimo lavoro. Era proprio questa vicinanza che mio marito non sopportava. Un giorno è arrivato il “tren o” estero con John Huston. Girato in Messico, nello Yucatàn: non conoscevo né l’inglese, né lo spagnolo, e ogni scena la giravamo tre volte, in tre lingue (la terza in italiano). Ogni mattina dovevo studiare come una matta, u-

na fatica improponib­ile. E sono usciti alcuni pastrocchi; alla fine è andata bene, meno al botteghino. E niente carriera internazio­nale.

Sempre lo stesso motivo: mi sono fermata, sono io ad aver detto “stop”, anni fa mi ha cercato pure Quentin Tarantino per Hostel, prodotto da lui per la regia... Quando lo incontro mi rimprovera.

Lo ha intervista­to per Mediaset in occasione dell’uscita di Hateful Eight. Che volo quella giornata! Per lanciare il film hanno creato un set con la neve fuori dal teatro di Cinecittà. Do-

vevo scendere una scala e annunciare l’intervista in esclusiva, microfono in mano, primo scalino, e sono ruzzolata. Un botto incredibil­e, viva per miracolo ma con le gambe incerottat­e... Lo ha incontrato così?

Certo. Quando viene a Roma ci vediamo, una volta mi ha detto che in Bastardi senza

gloria è destino che dentro ci sia il mio nome. Magari prima o poi viene fuori qualcosa. Ama la visibilità?

È un po’ la vita, obiettivam­ente c’è della vanità, non mi piace mettermi in mostra comunque e sempre come accade con altre dell’a mbiente, però la riconoscib­ilità mi dà ancora la giusta energia, mi regala un sorriso. E visto il numero ingente di “docce”, negli anni, gli uomini come si sono rapportati? Avere sposato Johnny ha aiutato ad allontanar­e certe spiacevoli possibilit­à: i maschi si sono sentiti dissuasi ad approcciar­e, hanno proprio lasciato perdere. Anche perché da quando stiamo insieme siamo diventati coppia totale, anche sul set o a teatro. Da suo padre a Dorelli.

Sono quasi 39 anni che stiamo assieme, una vita, chiaro che prima di conoscere lui ho avuto altre esperienze, come è normale. Ma sono talmente tanti gli anni da coppia che a volte mi rendo conto di parlare come lui o di muovermi come lui, e lui lo stesso con me. Siamo diventati quasi come la Mondaini e Vianello, e mi accorgo che alle persone piace vederci insieme. Non vi fate vedere molto in giro.

Anche lui è come me, è raro ma succede, oramai siamo la coppia più longeva nel mondo dello spettacolo... Un lavoro...

Dietro c’è stata grande fatica, come è normale, però il risultato c'è ( Silenzio, dopo qualche secondo). Comunque devo ammettere che non amo molto raccontarm­i, in questo sono ancora una nordica, ci vuole il forcipe per tirarmi fuori le parole. Cos’altro non ama?

Gli attimi prima di salire sul palco del teatro: più passano gli anni e più mi fa paura quel momento, e un tempo non ero così, forse ero più incoscient­e, mi lanciavo, mentre ora mi si strozza lo stomaco, sento le farfalle, mi agito. Però lo amo: è emozionant­e lo scricchiol­io di quelle assi (Di

nuovo pensierosa). Ci sono foto dentro questa intervista? Sì...

Mi raccomando, non metta alcuno scatto di doccia, per favore...

Casualità nei ciak sexy Quelle scene erano le uniche che dovevo sempre ripetere, ogni volta c’era qualcosa che non andava...

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Al centro, è con Johnny Dorelli; in basso, a sinistra, sul set con Lino Banfi; in basso a destra, con la figlia
Ansa/Umberto Pizzi Insieme al marito Al centro, è con Johnny Dorelli; in basso, a sinistra, sul set con Lino Banfi; in basso a destra, con la figlia

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