La rivolta dei professionisti: “Senza tariffe è un disastro”
“Chi ha tratto i l maggiore vantaggio dall’abolizione delle tariffe minime per i professionisti? Le banche e le assicurazioni, i maggiori committenti degli studi legali. Ora è il mondo della finanza a imporre i nostri prezzi”. Due avvocatesse romane sono convinte che la liberalizzazione del 2006 abbia favorito i “poteri forti” e non la collettività. E non sono le sole: dello stesso avviso migliaia di persone accorse ieri da tutta Italia nella Capitale sotto la sigla “#Noiprofessionisti”, per reclamare una legge sull’equo compenso e le tutele per i cosiddetti “mestieri intellettuali”. Legali, medici, dentisti, architetti, ingegneri, commercialisti, notai, giudici di pace hanno risposto alla chiamata dei colleghi romani e hanno marciato da Piazza della Repubblica al largo di San Giovanni. La mobilitazione, che ha coinvolto 140 ordini, è iniziata già da tempo ma si è acuita in questi giorni, dopo che il Parlamento ha approvato il Jobs Act delle partite Iva senza inserire norme per garantire giuste retribuzioni ai lavoratori autonomi. Proprio gli avvocati, che contano 57 mila iscritti (su 235 mila totali) con guadagni sotto i 10 mila euro annui, si sentono molto colpiti, e non solo dall’assenza dei minimi tabellari. “Ci penalizza anche l’aumento dei costi della giustizia - dice uno di loro - che fa sì che in molti rinuncino a intentare cause”. La questione delle tariffe resta centrale. “Cancellandole – spiegano tre ingegneri romani – si è aperta la strada alla concorrenza sleale. Esempio: vengo incaricato per un collaudo, se sono scrupoloso e faccio notare che qualcosa non va, rischio di essere cambiato con un altro più flessibile che si fa pagare poco per mettere una firma a occhi chiusi”.
NELLE INTENZIONI dell’allora ministro allo Sviluppo economico Pier Luigi Bersani si voleva migliorare la qualità delle prestazioni migliorando anche la competitività; le testimonianze raccontano che la conseguenza è stato l’esatto contrario, a causa di un feroce mercato al ribasso. La crisi e la contrazione dei consumi hanno fatto il resto.
“Se fatturo mille euro – aggiunge uno dei tecnici – il cliente paga 1.240 tra Iva e contributi. A me ne restano sì e no 500”. “Noi siamo architetti – raccontano due giovani donne di Catanzaro – e abbiamo trovato volantini che offrono attestazioni di prestazioni energetiche a soli 50 euro. Come si fa con questi prezzi a sostenere i costi per programmi e formazione?”.
NESSUNA garanzia nemmeno se dall’altra parte c’è la Pubblica amministrazione. “Se sei fortunato – aggiungono – ti liquidano la fattura in sei mesi, la media è due anni”. Lo Stato, insomma, è il primo a essere fuorilegge visto il nuovo obbligo di eliminare clausole che permettano pagamenti oltre i 60 giorni. Un gruppo di architetti di Catania ricorda un lavoro svolto nel 2011 e retribuito nel 2014. Una di loro aiuta a fare due calcoli: “Guadagniamo meno di 10 mila euro all’anno, paghiamo il 15% di forfettario e 3 mila euro solo di minimi Inarcassa. Un progetto di ristrutturazione da 1.240 euro lo si può trovare anche a 500”. Immancabile, l’esempio dell’igiene dentale. “Assurdo che qualcuno si faccia pagare 9 euro – spiega Giuliano Ferrara, segretario dell’Andi Roma –. Per me non vanno rimessi i minimi ma vanno create tariffe proporzionate ai servizi offerti da rivalutare ogni due anni”. La missione è abituare il cliente a pagare di più per pretendere qualità e sicurezza. Un concetto che trova d’accordo anche il Codacons, associazione di consumatori che ha aderito alla manifestazione ricordando le tante segnalazioni ricevute da vittime della mala sanità negli studi dentistici in franchising.
Senza tutele
“Se il committente è lo Stato è pure peggio Così comandano solo i poteri forti”