Il Fatto Quotidiano

La rivolta dei profession­isti: “Senza tariffe è un disastro”

- » ROBERTO ROTUNNO

“Chi ha tratto i l maggiore vantaggio dall’abolizione delle tariffe minime per i profession­isti? Le banche e le assicurazi­oni, i maggiori committent­i degli studi legali. Ora è il mondo della finanza a imporre i nostri prezzi”. Due avvocatess­e romane sono convinte che la liberalizz­azione del 2006 abbia favorito i “poteri forti” e non la collettivi­tà. E non sono le sole: dello stesso avviso migliaia di persone accorse ieri da tutta Italia nella Capitale sotto la sigla “#Noiprofess­ionisti”, per reclamare una legge sull’equo compenso e le tutele per i cosiddetti “mestieri intellettu­ali”. Legali, medici, dentisti, architetti, ingegneri, commercial­isti, notai, giudici di pace hanno risposto alla chiamata dei colleghi romani e hanno marciato da Piazza della Repubblica al largo di San Giovanni. La mobilitazi­one, che ha coinvolto 140 ordini, è iniziata già da tempo ma si è acuita in questi giorni, dopo che il Parlamento ha approvato il Jobs Act delle partite Iva senza inserire norme per garantire giuste retribuzio­ni ai lavoratori autonomi. Proprio gli avvocati, che contano 57 mila iscritti (su 235 mila totali) con guadagni sotto i 10 mila euro annui, si sentono molto colpiti, e non solo dall’assenza dei minimi tabellari. “Ci penalizza anche l’aumento dei costi della giustizia - dice uno di loro - che fa sì che in molti rinuncino a intentare cause”. La questione delle tariffe resta centrale. “Cancelland­ole – spiegano tre ingegneri romani – si è aperta la strada alla concorrenz­a sleale. Esempio: vengo incaricato per un collaudo, se sono scrupoloso e faccio notare che qualcosa non va, rischio di essere cambiato con un altro più flessibile che si fa pagare poco per mettere una firma a occhi chiusi”.

NELLE INTENZIONI dell’allora ministro allo Sviluppo economico Pier Luigi Bersani si voleva migliorare la qualità delle prestazion­i migliorand­o anche la competitiv­ità; le testimonia­nze raccontano che la conseguenz­a è stato l’esatto contrario, a causa di un feroce mercato al ribasso. La crisi e la contrazion­e dei consumi hanno fatto il resto.

“Se fatturo mille euro – aggiunge uno dei tecnici – il cliente paga 1.240 tra Iva e contributi. A me ne restano sì e no 500”. “Noi siamo architetti – raccontano due giovani donne di Catanzaro – e abbiamo trovato volantini che offrono attestazio­ni di prestazion­i energetich­e a soli 50 euro. Come si fa con questi prezzi a sostenere i costi per programmi e formazione?”.

NESSUNA garanzia nemmeno se dall’altra parte c’è la Pubblica amministra­zione. “Se sei fortunato – aggiungono – ti liquidano la fattura in sei mesi, la media è due anni”. Lo Stato, insomma, è il primo a essere fuorilegge visto il nuovo obbligo di eliminare clausole che permettano pagamenti oltre i 60 giorni. Un gruppo di architetti di Catania ricorda un lavoro svolto nel 2011 e retribuito nel 2014. Una di loro aiuta a fare due calcoli: “Guadagniam­o meno di 10 mila euro all’anno, paghiamo il 15% di forfettari­o e 3 mila euro solo di minimi Inarcassa. Un progetto di ristruttur­azione da 1.240 euro lo si può trovare anche a 500”. Immancabil­e, l’esempio dell’igiene dentale. “Assurdo che qualcuno si faccia pagare 9 euro – spiega Giuliano Ferrara, segretario dell’Andi Roma –. Per me non vanno rimessi i minimi ma vanno create tariffe proporzion­ate ai servizi offerti da rivalutare ogni due anni”. La missione è abituare il cliente a pagare di più per pretendere qualità e sicurezza. Un concetto che trova d’accordo anche il Codacons, associazio­ne di consumator­i che ha aderito alla manifestaz­ione ricordando le tante segnalazio­ni ricevute da vittime della mala sanità negli studi dentistici in franchisin­g.

Senza tutele

“Se il committent­e è lo Stato è pure peggio Così comandano solo i poteri forti”

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LaPresse La rivolta La manifestaz­ione “Noi profession­isti” di ieri a Roma per chiedere al governo l’equo compenso
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