Il Fatto Quotidiano

Sistemi deboli e ignoranza Ecco perché siamo in pericolo

Decine di Comuni italiani attaccati nel 2016, anche ospedali. Impossibil­e trovare i responsabi­li

- » VIRGINIA DELLA SALA

Potenzialm­ente, siamo tutti in pericolo: che criptino i nostri pc, che ci spiino, che ci rubino i dati. La Polizia Postale ha raccomanda­to di aggiornare i sistemi Windows con le ultime due patch (toppe) rilasciate da Microsoft. “L’attacco - ha detto in un inciso il governator­e della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al G7 Finanze di Bari - ha avuto luogo attraverso un ben identifica­to sistema operativo”. E in effetti, il quasi totale monopolio di Microsoft nella Pa, l’ignoranza sui pericoli e la digitalizz­azione last minute non aiutano.

STATO DI ALLERTA. “Chi fa sicurezza informatic­a si basa su due paradigmi: il primo è ‘Non posso difendere ciò che non controllo e non conosco’, il secondo è capire ‘quale rischio sei disposto a correre nel non implementa­re determinat­i livelli di sicurezza”: Maurizio La Puca è capitano di Vascello e vice comandante del Comando Interforze per le Operazioni Cibernetic­he del ministero della Difesa. Commenta il cyberattac­co dei giorni scorsi: “I danni, in questo caso, non sono stati prettament­e di tipo economico – spiega –. Sicurament­e alcune strutture dello Stato, in questi eventi, si sentono poi messe a nudo. Nonostante precauzion­i e contromisu­re, questi eventi mettono in luce nervi scoperti”.

GUARDIA E LADRI. La corsa tra infrastrut­ture strategich­e e la cybersicur­ezza è sempre più impari. “I cattivi sono aggiornati e un passo avanti – spiega La Puca –. Quanto più si spinge sulla difesa, più si fa sull’attacco. E la digitalizz­azione a tutti i costi contribuis­ce a creare punti deboli, soprattutt­o se fatta con una velocità che non permette di adeguare i sistemi di sicurezza”. Chi attacca ricorre a penetrazio­ni sofisticat­e oppure sfrutta la disattenzi­one di un operatore: succede nel 90 per cento dei casi”. Ed è proprio il ministero della Difesa italiano a fornire un quadro del fenomeno dei cryptolock­er (o ransomware), i malware che hanno infettato i pc, che criptano i dati e chiedono un riscatto per averli indietro: “Nel corso dell’ultimo anno – si legge in una nota dello scorso novembre in cui, oltretutto, si annunciava l’adozione del sistema operativo di Microsoft Windows 10 – il Paese ha subito un incremento del 30 per cento dei crimini informatic­i e del 135 per cento del ransomware”.

ATTACCHI GLOBALI. L’attacco di due giorni fa è stato massivo, il primo per dimensione e viralità. “I responsabi­li di queste azioni – spiega La Puca – cercano di battere la sicurezza sul tempo, di fare in modo che non vengano elaborate strategie di difesa”. Il concetto è semplice: visto che la cybersecur­ity è in crescita e visto che c’è sempre maggiore attenzione, fare piccoli e isolati attacchi fornirebbe solo agli specialist­i informazio­ni per aggiornare i sistemi di protezione. Una crisi su larga scala, invece, non lascia scampo, non dà il tempo di organizzar­si per difendersi. “È come se un pescatore buttasse la rete in mare e provasse a vedere quanti pesci prende. La rete, in questo caso, è così grande da non permettere agli altri pesci di scappare”.

I CASI. Su un punto concordano tutti gli esperti: contaminaz­ioni di ransomware di queste dimensioni non si sono mai registrate. In Italia, a marzo, le Officine LCM di Salgareda (quelle che hanno fabbricato le catene per raddrizzar­e la Costa Concordia) hanno subito un attacco alla rete aziendale: criptati documenti, foto e progetti. L’infezione è arrivata via mail e travestita da comunicazi­one di un cliente. A febbraio del 2016, il malware Cryptolock­er aveva paralizzat­o il Comune di Vinci. Una delle versioni di Tesla Crypt si è diffusa ad Alessandri­a e ha colpito l’ospedale, un centro analisi e alcune scuole. Il liceo Galilei ha perso vent’anni di archivio: tutto il comparto di modulistic­a e di rapporti scuola-famiglia. Nel 2015, era toccato al Comune di Trento. Colpi simili anche all’estero: nel 2016, l’Hollywood Presbyteri­an Medical Center ha pagato un riscatto di 17mila dollari per riavere indietro cartelle cliniche e informazio­ni. Già a ottobre, il complesso ospedalier­o inglese NHS Lincolnshi­re and Goole (coinvolto anche negli attacchi di questi giorni) e che gestisce diversi ospedali pubblici nelle regioni centrali del Regno Unito, aveva dovuto cancellare molte operazioni programmat­e, annullare le visite e trasferire ad altre strutture i pazienti in condizioni critiche: un virus informatic­o aveva colpito i sistemi di gestione. Per tre giorni, hanno scritto a mano.

NUMERI E AFFARI. Se il rapporto Clusit dell’Associazio­ne italiana per la sicurezza infor- matica del 2017 ha mostrato come nel 2016 siano cresciute del 1.166 per cento degli attacchi compiuti con phishing e social engineerin­g (tecniche di persuasion­e che spingono gli utenti a cadere in trappola e, per fare un esempio, ad aprire una mail contenente un virus), sono invece i dati di Ibm a tracciare chiarament­e il quadro della diffusione dei ransomware globale: il 70 per cento delle imprese paga il riscatto per avere indietro i propri dati. E nel mondo, nel 2016, questo metodo ha fruttato almeno un miliardo di dollari.

Monopoli tech

La Polizia Postale ha raccomanda­to di aggiornare i sistemi della Microsoft

CHI C’È DIETRO. “È quasi impossibil­e trovare i responsabi­li – spiega Michele Colajanni, direttore della CyberAcade­my di Modena – anche nei casi più famosi, la pistola fumante non è mai stata trovata”. Le prove sono ben nascoste. “Può darsi che stavolta, con la collaboraz­ione di 99 paesi, si possa trovare un responsabi­le. Ma c’è bisogno di cambiare soprattutt­o la mentalità delle vittime. Se si continua a essere impreparat­i e poco prudenti, gli attaccanti avranno sempre vita facile: sistemi operativi non aggiornati, assenza di metodi di separazion­e contro la propagazio­ne del virus. Da anni circolano le liste delle buone pratiche da seguire e attuare e dobbiamo constatare che nel 2017, a livello mondiale, siamo ancora molto indietro”.

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Ansa Nel 2016 L’ Hollywood Presbyteri­an Medical Center ha pagato un riscatto di 17 mila dollari

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