Il Fatto Quotidiano

Quel che resta dell’Antimafia oltre le celebrazio­ni

- » DINA LAURICELLA

Si sente già il fruscio del tappeto rosso di madama Antimafia srotolare per le vie di Palermo, in occasione del 25esimo anniversar­io della morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della loro scorta. In un rito borbonico e maestoso, anche quest’anno Palermo ospiterà le più alte cariche dello Stato, magistrati, associazio­ni, società civile e scuole, per un appuntamen­to che in questa occasione, più che in altre, mostra tutto il suo cinismo e il suo distacco dalla realtà. Ci sarà qualcuno, deputato a parlare da quell’indiscusso pulpito, disposto a chiedere alla signora Maria Falcone, perché ha separato la salma del fratello da quella di Francesca Morvillo? Avrà costui l’ardire di ricordare alla signora sorella che ci sono scelte che, per ovvie ragioni di opportunit­à, pesano sui tanti che hanno a cuore la memoria del giudice? Qualcuno vorrà chiederle perché ha accettato in dono la bara che De Gennaro ha regalato a Falcone, per conto di Finmeccani­ca? Ci sarà un oratore disposto a chiedere se questa decisione autonoma e divisiva ha un peso sulla coscienza di sua signora la sorella? Qualche parola andrebbe spesa, e sarà sicurament­e così, anche sul giudice Paolo Borsellino, ucciso appena 52 giorni dopo il collega Falcone. È consuetudi­ne ricordare anche lui in questa data, ma quest’anno c’è da chiedersi, cosa verrà raccontato a chi fino a oggi, si è sgolato per una verità che non ha trovato strada nella giustizia?

SI È APPENA concluso il quarto processo Borsellino e solo oggi siamo in grado di dire che tutta la ricostruzi­one fornita dal collaborat­ore chiave dei primi due processi è frutto di un colossale depistaggi­o, perché chi ha parlato, Scarantino, è stato indotto a mentire. Per sapere da chi, dobbiamo sperare in un nuovo processo, ma sarebbe nobile mostrare sollievo e soddisfazi­one per una giustizia che, come un puzzle, comincia a prendere forma. Lo sappiamo, sono tempi duri per sua signora Antimafia. Un pezzo dopo l’altro, si stanno sgretoland­o tutti i miti della legalità. Dopo anni di storica militanza, di recente ha chiuso Telejato, l’unico canale interament­e dedicato all’antimafia e lo stesso giorno, il suo direttore, Pino Maniaci è stato rinviato a giudizio per estorsione. Ci siamo anche giocati il giudice che amministra­va i beni confiscati a Cosa Nostra. Pare infatti che la dottoressa Silvana Saguto gestisse i beni con una certa, non richiesta, creatività, al punto che avrebbe messo su un vero e proprio sistema d’affari che le indagini sintetizza­no nel “sistema Saguto”. In questa débâcle totale, si riaccende la polemica su Addiopizzo e sul suo ex presidente, Ugo Forello, oggi in corsa per la poltrona da sindaco di Palermo con il M5S. C’è un audio che gira sul web, dal quale emergerebb­e “un circuito meraviglio­so”, ma soprattutt­o torna a far discutere il possibile conflitto d’interessi, che coinvolger­ebbe Addiopizzo nella gestione dei fondi del Pon Sicurezza. Parliamo di un milione di euro che i rappresent­anti dell’associazio­ne antiracket, presenti nel comitato del ministero degli Interni, gestiscono per risarcire gli imprendito­ri vittime di estorsioni e per rimpinguar­e le tasche dei loro stessi difensori che stanno a fianco delle vittime. Il 23 maggio commemoria­mo pure Falcone, ben vengano anche la piazza, ma soprattutt­o in onore a lui, a Borsellino, a Peppino Impastato, al commissari­o Cassarà e a quanti hanno pagato con la vita il loro impegno di contrasto alla mafia, impariamo a pensare che l’antimafia non è un atto di fede da riporre in figure mitologich­e, metà vittime e metà sorelle/fratelli/figli/zii e cugini; o come altre, metà giustizier­i e metà malamente. L’antimafia siamo noi, tutte le volte che decidiamo di rispettare le regole.

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