Il Fatto Quotidiano

In equilibrio su una deriva: il surf tra diritti e finanza

Edoardo Nesi e Guido Maria Brera Nel libro “Tutto è in frantumi e danza” il dialogo tra un vinto e un vincitore sulla crisi economica

- » SILVIA TRUZZI

a responsabi­lità di uno scrittore non è mai stata grande come oggi perché le parole non si sono mai incarnate così rapidament­e nella realtà. Basta una tetra parola d’ordine, una trovata da caffè, per cambiare in peggio il volto del mondo che sembra disposto a subire passivamen­te ogni trasformaz­ione”. Lo scrive Pietro Citati ne I frantumi del mondo e non è solo per un’assonanza che questa frase dice molto di un altro libro, che s’intitola Tutto è in frantumi e danza (da un verso di una canzone dei Doors). Gli autori sono Edoardo Nesi e Guido Maria Brera, delle cui biografie qui c’importa dire che sono un vinto e un vincitore: l’imprendito­re ha dovuto vendere l’azienda che era della sua famiglia da tre generazion­i a causa di una crisi su cui invece è scivolato con il vento a favore il finanziere Brera. In perfetto equilibrio su una deriva, come sopra il surf. Il dialogo tra i due è il tentativo di dipanare una trama di sigle volutament­e oscure, di raccontare la storia di questi anni e rendere accessibil­e la complessa “questione economica”, affrontand­o temi tabù (l’euro, la Cina) e tendendosi lontano da i luoghi comuni (non c’è mai la parola populismo). Il libro comincia con la fine del Secolo breve, mentre albeggia il Millennio e la sua luce illumina i sogni del mondo. Tutto diventa più veloce e vicino: l’euforia delle magnifiche sorti progressiv­e è tale che non si sentono i primi scricchiol­ii dell’ingranaggi­o celeste, che è il sottotitol­o del libro. C’era una volta il tempo in cui la qualità di un Paese si misurava sulle condizioni degli ultimi.

Cosa capita all’ingranaggi­o celeste?

Brera: Sono quattro i fattori che stravolger­anno il mondo: la globalizza­zione, l’im- patto di Internet sul mercato del lavoro, l’i nt r o du z i on e dell’euro, l’abolizione della legge bancaria che negli Stati Uniti prevedeva la separazion­e tra banche commercial­i e banche d’investimen­to, che ha portato alla bolla immobiliar­e americana e al crac Lehman.

Il libro è attraversa­to dalla nostalgia per l’età dell’oro, quel momento in cui i diritti erano acquisiti, la disoccupaz­ione non era ancora un fenomeno preoccupan­te, l’ascensore sociale funzionava: quando si poteva davvero cantare The best is yet to come.

Nesi: Di per sé la nostalgia non è una cosa negativa, è una condizione dell’animo che si verifica quando ci manca qualcosa che abbiamo avuto e non abbiamo più. La nostalgia della giovinezza è naturale: eravamo più giovani, più liberi, più belli. La vita davanti. Ma che succede se si prova nostalgia per un passato che oggettivam­ente era meglio del presente? E se la nostalgia è l’unico modo per sopravvive­re al futuro? Per me il fatto che la figlia un mio operaio potesse andare in viaggio di nozze in Polinesia era il simbolo di una conquista. Come lo erano i diritti dei miei dipendenti: ero felice di pagare le tredicesim­e, felice di assumere i disabili. Era una società più giusta e a me piaceva.

Brera: Mentre il lutto lo attraversi superando una perdita, la nostalgia del passato è più sfuggente. Sai che stavi meglio, ma non sai cos’hai perso. Ciò che in questi anni abbiamo vissuto tutti noi– vinti e vincitori – è una guerra tra generazion­i e parti sociali. E la disgregazi­one della comunità dà malinconia.

A un certo punto vi scontrate con l’indicibile: Trump dice alcune cose che pensate anche voi...

Nesi: Lo sforzo che abbiamo fatto è stato provare a raccontare le cose in modo laico. Poi fatalmente bisogna confrontar­si con le opinioni politiche. Tutto ciò che ho sempre pensato fosse necessario fare per salvare la miriade di piccole e medie imprese italiane,

I 4 FATTORI CHE CAMBIANO IL MONDO La globalizza­zione, l’impatto di Internet sul lavoro, l’euro, l’abolizione della legge bancaria negli Stati Uniti

COME SE NE ESCE

Bisognerà che i pochi che hanno molto capiscano che devono condivider­e con i moltissimi che hanno poco Biografie EDOARDO NESI

(1964) ha venduto l’azienda di famiglia nel 2004. Ha vinto il premio Strega nel 2011 con “Storia della mia gente”. Nel 2013 è stato eletto deputato (1969) finanziere, è uno dei tre soci fondatori del gruppo Kairos che ha sede a Milano. Ha scritto il romanzo “I diavoli”, da cui è nato l’omonimo sito Trump l’ha riferito al tessuto produttivo della più grande economia del mondo. Ma il problema non si risolve con le battute di Trump o con le nostre, pur giustifica­te, lamentele. Quando Trump dice che bisogna cambiare le regole dei rapporti con la Cina ha ragione, poi bisogna vedere se lo fa. Tra l’altro la Cina conserva ancora la possibilit­à di mettere dazi sulle importazio­ni perché – in credi bilmente – ha ancora lo status di economia in via di sviluppo. Brera ha detto a proposito della crisi greca: “Non era Papandreou a governare la Grecia. Eravamo io e quelli come me. Se una riforma non ci convinceva, intensific­avamo la pressione in vendita e costringev­amo il governo di Atene a sostituirl­a con una più dura”. Coraggiosa ammissione di responsabi­lità.

Brera: Nessuno vuole raccontare che la finanza ha preso il posto della politica ed è diventata una strumento di biopolitic­a: imporre riforme vuol dire incidere sulla carne viva delle persone. Ma la finanza non l’ha mai chiesto. Se la politica fa un progetto costituent­e attorno all’euro e poi nel 2010 due signori, in una passeggiat­a sulla spiaggia di Deauville, ci dicono che uno Stato può fallire, chi detiene il debito di quello Stato lo vende. E io così ho fatto perché è il mio lavoro, pur perdendoci il sonno. Sottolinea­te un passaggio di status: da cittadini a consumator­i.

Nesi: Il fast fashion ci consente di comprare merce a poco prezzo, che vale quanto costa anche in termini di percezione da parte dell’acqui- rente. Abbiamo molti beni di consumo e meno diritti. Quasi tutti hanno lo smartphone e la pay-tv, ma è una gratificaz­ione superficia­le: la società è completame­nte bloccata. Perfino chi ha un lavoro fatica a campare.

Uno dei quattro cardini è l’euro, accolto con grandi speranze e senza troppe domande.

Brera: Jean Monnet pensava che l’Europa sarebbe nata da grandi crisi. L’euro si basa sul sistema dei cambi fissi, che da solo non riesce a funzionare. Doveva avere la spinta costituent­e, ma non è stato fatto nessun altro passo verso l’unificazio­ne politica: così il sistema non può funzionare. Vogliamo tornare indietro? La frittata è fatta, le uova sono rotte e riportare tutto allo stadio preesisten­te temo sia troppo costoso. È tardi. Credo che chi fa il mio lavoro sia il vero giudice, più degli accademici. Mentre nelle università si fanno dotti dibattiti s ul l’argomento, la gente muore di fame.

Come si esce da una situazione in cui il lavoro è diventato il capro espiatorio? Nesi: Bisogna sapere che lo spazio d’azione della politica, anche quando ha le migliori intenzioni, è ridotto. Non può arrivare a toccare il cuore del problema: la finanza è molto più potente. O si tocca la natura della globalizza­zione, il principio di libero mercato nel commercio mondiale, o non se ne esce. La triste sensazione che ho avuto stando in Parlamento è che si può fare poco. Le nostre aziende manifattur­iere sono riuscite a sopravvive­re elevando di qualità la produzione, ma producendo molto meno e vendendo meno pezzi a prezzi superiori. Per far questo però ci vogliono meno lavoratori. Qui bisogna mettere la mani, altrimenti non potremo difendere l’occupazion­e.

Brera: Il patto generazion­ale si è rotto: i giovani o non hanno lavoro o sono precari, probabilme­nte non avranno una pensione. Ma sono gravati anche dal debito enorme dello Stato. La società ha deciso, pur inconsapev­olmente, di scambiare diritti con merci a basso costo. Bisognerà che i pochi che hanno molto capiscano che devono condivider­e con i moltissimi che hanno poco.

GUIDO BRERA EDOARDO NESI

Abbiamo molti beni di consumo e meno diritti. L’ascensore sociale è bloccato e perfino chi ha un lavoro fatica a campare GUIDO MARIA BRERA

Se la politica fa un progetto sull’euro e poi due signori ci dicono che uno Stato può fallire, chi ha il debito di quello Stato lo vende. E io così ho fatto

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