Ma io li difendo, sono gli unici in cui possiamo fare carriera
Eva bene, con tutti i problemi che ci sono, lamentiamoci dei giornali femminili. Proprio noi giornaliste, che, per quanto brave e autorevoli siamo, solo nei periodici per signore abbiamo chance di raggiungere posizioni apicali fino a diventare direttori (l’unico direttore donna di quotidiano cartaceo è attualmente Norma Rangeri del solito Manifesto. Andava meglio ai tempi di Matilde Serao, ma era il 1892 e di giornali ce n’erano molti di meno).
Okay tirarci la zappa sui piedi, ma non esageriamo. Anzi, poverini, ci tocca pure proteggerli, i femminili, insidiati come sono dal web, dove le beauty – e fashion – blogger dànno notizie più fresche e complete. Quand’è l’ultima volta che avete visto una donna con in mano uno dei femminili “storici”, se non nell’anticamera del dentista o nel nail-salon? Che poi anche lì, potendo, ci buttiamo sulle riviste di gossip che non avremmo mai il coraggio di comprare in edicola, non sulle riviste che, alla fin fine, non dicono nulla di nuovo né sulle star, ormai intervistate ovunque, né sull’attualità, ora che, vivaddio, di femminicidio e problemi di salute e lavoro si parla anche sulla stampa “per tutti” (non come negli Anni Settanta, quando solo su femminili più emancipati come Grazia trovavi dibattiti e informazioni su aborto e contraccezione su cui altrove c’era silenzio).
EPPURE dobbiamo salvaguardarli, i femminili, se non altro perché mostrano quanto oggi la femminilità sia la continuazione della schizofrenia con altri mezzi: messaggi tipo “àmati come sei” accanto a consigli per avere chiappe alla Belèn, réportage sulla fame nel mondo e poco dopo le ricette stellate con il manzo di Kobe, riflessioni sul perché le ragazze non studiano scienze, seguite dall’oroscopone dell’estate. E in ultima analisi: se non ci fossero i femminili, dove ritaglieremmo le foto da portare al parrucchiere dicendogli “fammi uguale”?