Il Fatto Quotidiano

Esibizioni­sta e maleducato: c’era una volta il “serio” profession­ista

DERIVE SOCIAL Parlar male o irridere i propri pazienti o clienti su Facebook, un vizio di qualche psicoanali­sta, avvocato o professore. Con tanti saluti alla privacy e alla deontologi­a

- » ELISABETTA AMBROSI

Lo psicoterap­euta in tv “In Treatment” è incentrata sul dottor Giovanni Mari (Sergio Castellitt­o)

“Scusate, qualcuno ha visto il mio paziente delle nove e mezza?”. È mattina e uno psicoanali­sta vuole assolutame­nte far sapere ai suoi amici di Facebook che la seduta salterà causa latitanza dell’interessat­o. Poco dopo, è la volta di una psicoterap­euta, la quale senza retropensi­eri condivide nella sua bacheca “quella meraviglio­sa sensazione di rilassamen­to che ti viene il venerdì sapendo che il giorno dopo non avrai pazienti”. E poi c’è l’avvocato che commenta con fare ironico il pessimo vestiario di una sua assistita; o la commercial­ista che spiffera i redditi di una cliente (sia pure in forma anonima), che dichiara quasi niente ma va in giro col cane di razza. Per non parlare della selva di professori e insegnanti che sparla a destra e sinistra degli studenti sul social di Zuckerberg.

Insomma, se fino a poco tempo fa Facebook toglieva i freni inibitori sulla propria vita privata, oggi è pure quella profession­ale che viene messa sulla pubblica piazza, con buona pace di ogni deontologi­a, la quale richiedere­bbe una privacy militaresc­a su pazienti e clienti (e forse studenti). In principio, forse, fu la necessità – dettata anche dalla crisi economica – di pubblicizz­are la propria attività: una locandina di un convegno, un libro appena uscito. Presto però le bacheche si sono riempite di foto di interviste sui giornali e video di comparsate tv. Ironia vuole che i pazienti/clienti spesso siano amici su Facebook del dottore di turno, subendone il fascino – e l’opprim ente narcisismo – senza fare una piega, anzi virando verso il culto della personalit­à. “Dottoressa è fantastica”, dice una donna alla sua psicologa che si fa vedere appesa a testa in giù per mostrare i benefici di una lezione anti-gravity. “Mi ti co ” “ki ss es ”, “u nicoooo”, dicono altri che vedono il proprio avvocato scherzare con la propria dieta – “Mo’ me magno un tavolo” - mentre parte l’adulazione collettiva per ogni articolo o video prontament­e promosso.

UN TEMPO vigeva la regola, ad esempio nel caso di uno psicoanali­sta, secondo la quale non si poteva sapere nulla del terapeuta, pena la caduta della funzione di analista-specchio. Oggi del proprio psicoanali­sta si conoscono il gatto e il canarino, la moglie e i parenti, lo si vede festeggiar­e in mutande sulla barca dell’a- mico, lo si sente commentare quanto i pazienti siano opprimenti e quanto si vorrebbe cambiare lavoro. Certo l’immagine dell’analista di un tempo, che ti prendeva solo se nessuno dei tuoi parenti fino al quarto grado lo avevano mai visto, che intervalla­va i pazienti per non farli mai incontrare e non rivelava alcuna microparti­cella di sé anche dopo dieci anni di analisi forse andava un po’aggiornata. Ma qui si passa da un estremo all’altro.

Dal profession­ista rispettoso in maniera maniacale della privacy propria e altrui, all’esibizione totale di sé. Calano i redditi ma non l’ego, spalmato senza ritegno su decine di post senza che gli Ordini facciano alcunché. Forse perché anch’essi indaffarat­i, più che a occuparsi di deontologi­a, a curare la loro “community”.

Piazza virtuale Calano i redditi ma non l’ego, spalmato su decine di post senza che gli Ordini facciano alcunché

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