La “matura” ha 94 anni: abolitela
La prova di Stato, tra crediti e punti, pesa sempre meno
Èun
vecchione di 94 anni e se li porta male. Nonostante gli otto lifting subiti nella sua lunga vita e nonostante la fervida mente filosofica che gli ha dato i natali nel lontano 1923: Giovanni Gentile, titolato, anzi titolatissimo ministro della Pubblica Istruzione negli anni 1922-24. Sto parlando dell’esame di maturità. Ho detto esame di maturità per abitudine da vecchio liceale, ma avrei dovuto dire esame di Stato, avendo mutato nome con la legge 10 dicembre 1997, e con l’introduzione di un massimo di 15 punti per ognuna delle tre prove scritte, di 35 per il colloquio, e di 20 punti per la novità del “credito scolastico”.
Èin questa circostanza che si traccia il solco più netto fra il vecchio esame e il nuovo. Cambiar nome è banale solo in apparenza. Perché maturità indica un percorso di accrescimento dello studente, accrescimento di nozioni acquisite, di sapere, di sensibilità, di equilibrio, di capacità di intendere la realtà, riflettere e agire in essa compatibilmente con le proprie forze, di interagire in maniera positiva e corretta con gli altri; mentre l’espressione esame di Stato è termine meramente burocratico, che non lascia spazio se non alla cosa in sé. Il passaggio, insomma, per ciò che riguarda la scuola, fino a quel punto, e per fortuna, indietro di molti passi rispetto alla triste società – solo gli illusi possono pensare che la scuola, di questi tempi, sia il traino della società stessa – dall’epoca del romanticismo a quella del realismo, cioè alla catastrofe, perché crisi di valori consolidati a cui si sostituisce uno spazio vuoto concettuale scortato dal blabla del pedagoghese col trionfo del “saper fare”. In concreto: il vecchio esame di maturità, pur con un occhio al curriculum del candidato, mirava a mettere a fuoco il risultato finale: sicché non tanto “come ti sei comportato, cognitivamente e nella tua applicazione, in questi anni”, ma “chi sei ora, hic et nunc”. Do un esempio concreto: 30 e passa anni fa, quando facevo il preside (mestiere ora diventato ingratissimo per la mole di incombenze e responsabilità), mi capitò di essere nominato presidente di commissione in un liceo. Gli studenti non erano male, ma forse non abbastanza allenati a riflettere uscendo da una certa retorica che trova il suo luogo ideale soprattutto nella prima prova, cioè nel tema. Nel caso specifico, il primo tema e- ra una frase di Benedetto Croce che, estrapolata dal suo contesto, invitava a una gagliarda retorica. Chi lo scelse (e furono i più) ci cascò: tanti svolgimenti molto pettinati, conformistici, privi di originalità. Ma ci fu un’eccezione, un ragazzo che, in maniera ben documentata, mostrava una straordinaria originalità e autonomia di giudizio. Andammo subito a vedere il curriculum. Sorpresa: ammesso a maggioranza con cinque voti favorevoli e quattro contrari. Agli orali, fece un esame di italiano superlativo, e per il resto se la cavò bene. Gli domandai: “Spiegami cos’è successo”. Era imbarazzato. Alla fine rispose: “In classe mi annoiavo, mi annoiavo tanto. E ho studiato per i fatti miei”. Gli abbiamo dato 57/60 e la cosa ha fatto scalpore. Ma sono convinto ancora oggi che abbiamo fatto la scelta giusta. Con la tabellina ragionieristica dei punteggi e dei crediti, oggi questo non sarebbe più possibile: ti porti appresso i tuoi sbagli e le tue virtù, anno per anno. E le prove dell’esame, in sé e per sé, avranno sempre meno peso. Si prevede, visto il via libera del Consiglio dei ministri alla riforma dell’esame di Stato – che dovrebbe partire nel 2019, abolita la terza prova scritta, e aggiunto (per disgrazia) l’obbligo di partecipare preliminarmente alle prove Invalsi –, che verrà ancor più valorizzato l’andamento scolastico degli ultimi tre anni, con crediti che da un massimo di 25 punti attuali (già troppi) passeranno a 40, e con una riduzione del punteggio complessivo per le prove. Oggi, fino a 45 punti in totale per gli scritti e un massimo di 30 per l’orale; domani: un massimo di 20 punti per ognuno dei due scritti e 20 per l’orale. Il rimedio? Abolire il carro di Tespi dell’esame di Stato, col suo bagaglio di tesine, troppo spesso copiate, multidisciplinarietà del colloquio orale che coinvolga l’intera Commissione e che obblighi a salti mortali (ci si provi a imbastire un colloquio multidisciplinare sulla Cavallina storna del Pascoli) e l’alternanza scuola-lavoro (quando c’è). Basta uno scrutinio finale con i docenti della classe, un presidente esterno come garante e risparmio di tempo e denaro. Satis superque est.