Il Fatto Quotidiano

L’economista di casa: ascesa di Marco Fortis sognando Bankitalia

- » STEFANO FELTRI

SNato a Verbania nel 1956, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Cattolica di Milano, è esperto di economia industrial­e e nuove tecnologie. È docente di Economia Industrial­e e Commercio Estero alla facoltà di Scienze Politiche della Cattolica e direttore della Fondazione Edison. È Consiglier­e di amministra­zione della Rai da agosto 2015 indicato dal ministero del Tesoro. Scrive sul “Foglio” e sul “Messaggero” apete dove Matteo Renzi prende tutti quei dati così abilmente selezionat­i che ama tanto citare nelle trasmissio­ni televisive? Dai report riservati che Marco Fortis, 61 anni, da Verbania, suo consulente a titolo gratuito, manda ogni mese via email all’ex premier e a un ristretto gruppo di vertice. Fortis è un virtuoso dei numeri, uno che – col massimo rigore – riesce a dimostrare che se si toglie l’effetto della spesa pubblica, l’economia italiana cresce più di quella tedesca, che l’aumento degli occupati tra gli over 50 mentre sparivano posti per i giovani non è un fallimento del Jobs Act, ma un disastro demografic­o che le scelte renziane hanno arginato.

Qualcuno deve aver convinto Renzi che ogni storytelli­ng, anche il più ardito, deve essere condito di numeri. E per i numeri c’è Fortis. Sabato l’ex premier ha ricordato al Foglio , giornale ufficiale del renzismo, che “come spiega sempre il professor Fortis, vostro collaborat­ore, Banca Etruria rappresent­a meno del 2 per cento delle perdite delle banche nel periodo 2011-2016”. Inutile andare a verificare, Fortis è uno preciso, ma il parametro e l’arco temporale sono scelti con cura (sarebbe altrettant­o corretto dire che Etruria rappresent­a il 25,1 per cento della parte di sistema bancario mandato in “risoluzion­e” nel 2015, ma fa tutto un altro effetto).

SEMBRA che Matteo Renzi voglia mettere Fortis alla Banca d’Italia, come governator­e al posto del poco amato Ignazio Visco, quando a novembre scade il mandato. Lo ha scritto Repubblica, quotidiano non ostile (almeno fino a qualche settimana fa) all’ex premier. Secondo Lettera43 Renzi a Fortis “glielo ha pure detto, mandando in tilt il suo già spinto turbo-ego”. Banchieri e uomini di finanza si interrogan­o: possibile? Fortis non ha il profilo tipico, ha iniziato la carriera da responsabi­le delle relazioni esterne della Montedison, non in Via Nazionale o al ministero del Tesoro. Non è neppure un accademico tradiziona­le: insegna alla Cattolica di Milano, certo, ma la sua posizione principale è di direttore della Fondazione Edison, da dove studia imprese e distretti industrial­i, non macroecono­mia e regolazion­e fi-

Chi è

nanziaria. Ma Renzi è lo stesso che da premier ha messo un ex assessore regionale alla Sanità come Luigi Marroni a guidare gli appalti di Stato alla Consip (e mal gliene incolse, vista l’inchiesta), quindi tutto può accadere. Anche se nella nomina il Quirinale – primo e unico difensore di Ignazio Visco in questi mesi – ha un ruolo centrale.

FORTIS OGGI È RENZIANO, frequenta la Leopolda, è intervenut­o alla convention del Lingotto a marzo, siede nel consiglio di amministra­zione della Rai indicato dal ministero del Tesoro. Ma negli anni ha avuto le etichette di prodiano, tremontian­o e ora di renziano. I critici lo definiscon­o un economista di corte, uno dei collaborat­ori di Renzi preferisce l’espression­e “economista di casa”. Perché chiunque sia al governo, prima o poi, ricorre a Fortis, l’uomo ovunque. Da premier, nel 2012, Mario Monti si basò sul dossier della “commission­e Fortis” per bloccare le Olimpiadi a Roma nel 2020, anche se il dossier in realtà era così favorevole che lo stesso Fortis sarà tra i più citati economisti a sostegno della candidatur­a per il 2024. La spiegazion­e banale del successo di Fortis è che ai potenti piacciono gli ottimisti assai più dei gufi. E Fortis ottimista lo è di natura, o forse di contratto. La rassegna stampa è impietosa. Il 20 gennaio 2009, per esempio, dichiarava al Giornale dell’allora premier Silvio Berlusconi: “L’industria non è in declino, l’Italia è pronta per la ripresa”. Il 2009 si rivelerà l’anno peggiore della crisi italiana, con il Pil in calo del 5,5 per cento. Ma Fortis non è soltanto uno che vede sempre bicchieri mezzi pieni. Il suo talento è nell’argomentaz­ione, più che nel giudizio.

Nel 2011 il ministro dell’Economia dell’epoca, Giulio Tremonti, riuscì a convincere la presidenza francese del G20 ad approvare un’intuizione di Fortis: se si consideran­o insieme debito pubblico e debito privato, l’Italia non appare messa troppo male rispetto agli altri grandi Paesi europei (era più vero allora di oggi, quando le banche straniere ancora non erano state ristruttur­ate). I giornali celebrano l’intuizione del “Dil - debito italiano lordo”. Raccontano che il Dil si è poi arenato a Bologna: Fortis sta il- lustrando le sue teorie sul debito aggregato in un convegno quando Romano Prodi lo interrompe: “Vedi, caro Marco, l’unica ragione per cui ha senso rapportare il debito pubblico alle famiglie è che i loro beni facciano da garanzia e che quindi siano espropriab­ili con una patrimonia­le”.

SE FORTIS, per una congiunzio­ne astrale e politica improbabil­e ma non impossibil­e, dovesse arrivare davvero sulla poltrona più alta di Via Nazionale, il suo ottimismo struttural­e verrà messo a dura prova, tra Monte Paschi, Veneto Banca, PopVicenza e tutto il resto. Ma Fortis è sempre Fortis e a novembre 2016 diceva: “Le aggregazio­ni e la ristruttur­azione di alcuni istituti come Unicredit e Mps sono la strada obbligata per uscire dal problema dei crediti deteriorat­i e mantenere solido un sistema bancario nazionale che non è affatto messo peggio di quelli delle altre maggiori economie europee”. Non va poi così male. Il genere di messaggio sul settore bancario che Renzi sogna di sentire da un governator­e di Bankitalia.

Dopo i disastri Mps ed Etruria

Il direttore della fondazione Edison non ha il profilo tipico da Palazzo Koch, ma il segretario del Pd spera di liberarsi di Visco L’industria non è in declino, l’Italia è pronta per la ripresa”. Era il 2009, l’anno peggiore della crisi

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