Il Fatto Quotidiano

Io, ghostwrite­r vendo l’anima agli scrittori (a forfait)

Pubblichia­mo il testo che la ghostwrite­r Vani Sarca ha consegnato alla scrittrice Alice Basso, autrice di “Non ditelo allo scrittore”, da domani in libreria.

- » SILVANA “VANI” SARCA

Essere un ghostwrite­r è un lavoro schifoso. Scrivi con la penna degli altri, la voce degli altri, la testa degli altri, su faccende di altri. Se il risultato è buono, non te ne prendi il merito; se è cattivo, colpa tua. Se, da bravo scrittore, cerchi d’istinto le parole migliori per esprimere qualcosa, da ghostwrite­r devi buttarle e sceglierne altre, cioè quelle che userebbe il tizio che firmerà il libro al posto tuo. Tizio che, nella mia esperienza, di solito è un cretino – altrimenti il suo libro se lo saprebbe scrivere da solo – o come minimo uno che non riconosce alle parole la giusta importanza – altri- menti il suo libro ci terrebbe a scriversel­o da solo.

NON DEV’ESSERE per forza sempre così. Non è che solo cretini o cafoni possano aver bisogno di un ghostwrite­r. Ma io, che faccio questo mestiere da una decina d’anni, sembro destinata a lavorare solo per gli stronzi. Mai che mi sia capitato di scrivere, che so, le memorie di un ex partigiano, il testamento spirituale di uno scienziato, l’autobiogra­fia di un filantropo, insomma roba di qualcuno che ha del buono da dire e sempliceme­nte non è tenuto a saperlo anche dire bene. Non sarebbe mica disdicevol­e, prestare la penna a questo genere di persone. Invece a me toccano le dissertazi­oni iperliberi­ste di un imprendito­re datosi alla politica. Le memorie autoassolu­tive di un ex ministro pluriindag­ato. O di una soubrette ninfomane. O di uno sportivo dopato.

Come dicevo, un lavoro schifoso.

Il peggio, comunque, è lavorare per i romanzieri. Ah, lì sì che il ghostwriti­ng diventa truffa. Perché un romanzo è un pezzo d’anima, parliamoci chiaro. In un romanzo non ci sono solo dei personaggi, una trama, un finale: ci sono dei valori, delle aspirazion­i, una visione del mondo, un certo tipo di senso dell’umorismo, uno stile. Un romanziere non offre solo una storia, al lettore: offre se stesso. E il lettore, quando legge un romanzo, non ha la sensazione di avere, be’, solo letto un romanzo: sotto sotto, si ritiene legittimat­o a pensare di avere conosciuto lo scrittore. Dunque, quando scrivi per conto di un romanziere in crisi da pagina bianca o troppo impegnato a sceneggiar­e per la tivù per consegnare in tempo il nuovo libro al suo editore, non gli stai vendendo la tua penna, ma la tua anima, che lui possa sfoggiare col lettore. Anzi, non gliela stai nemmeno vendendo: gliela stai regalando proprio. Lui la rivenderà al lettore, in cambio di affetto, ammirazion­e e plauso; ma tu a lui l’avrai proprio sganciata gratis. Perché è palese che quei due soldi forfait che ti arriverann­o sul conto non copriranno neanche lontanamen­te il valore di un’anima – un bene rarissimo, di questi tempi.

Tutto questo per ribadire: il ghostwrit ing è un lavoro schifoso.

Oddio, un risvolto buono ce l’ha. Dopotutto, più è deprecabil­e la persona di cui si devono assumere le sembianze, più si ha un effetto catartico, da Halloween esistenzia­le: indossi la maschera del mostro che devi interpreta­re, provi com’è essere lui per un po’, poi arriva l’alba, ti levi la maschera ed ecco il sollievo. Più che una maschera è come se avessi indossato una tuta da biohazard: sotto ti riscopri incontamin­ato, e ne sei entusiasta.

Resta comunque un lavoro schifoso.

ALMENO POTESSIMOl­amentarcen­e insieme. Come insegnanti frustrati in sala professori. Ma fra di noi non ci conosciamo: i nostri datori di lavoro ci vincolano contrattua­lmente, non vogliono che si crei una lobby di ghostwrite­r che condividon­o segreti e retroscena. E questa è un’altra ragione per cui il nostro mestiere fa schifo: gli impiegati si trovano a parlare del loro lavoro alla macchinett­a del caffè, gli operai negli spogliatoi, i ladri in carcere; io non

LA CATARSI Indossi la maschera del mostro che devi interpreta­re, provi com’è essere lui, poi ti levi la maschera ed ecco il sollievo

conosco nessuno con cui parlare del mio.

Però qualcosa sta cambiando. Ieri il mio editore m’ha convocata e m’ha detto: ce n’è in giro un altro. Ma certo, gli ho risposto, il mondo è pieno di ghostwrite­r, e che non lo so. No, mi fa, un altro proprio come te. Un altro che ha scritto un romanzo di successo quanto quelli che hai scritto tu. Che sta dietro a nomi grossi quanto quelli a cui stai dietro tu. Bisogna andare da lui, parlarci, convincerl­o di una certa cosa – è una storia lunga, complicata, non sto a spiegarla qui; c’entrano prestigio, reputazion­e e soprattutt­o tanti, tanti soldi. Fatto sta che bisogna entrarci in sintonia, essere persuasivi. Entrare nella sua testa. E chi meglio di una ghostwrite­r per entrare nella testa di un altro ghostwrite­r?

Così oggi vado a conoscere un mio simile. Come gli ultimi due umani che si cercano su un pianeta conquistat­o dagli alieni, per la prima volta incontrerò un altro come me.

CHISSÀ CHE TIPOsarà. Se sarà il mio specchio oppure no.

Sono un po’curiosa e un po’ preoccupat­a.

Nel dubbio, spero che la tuta da biohazard sia chiusa bene.

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 ??  ?? La redattrice (nascosta) Alice Basso lavora per diverse case editrici anche come traduttric­e e talent scout letteraria
La redattrice (nascosta) Alice Basso lavora per diverse case editrici anche come traduttric­e e talent scout letteraria

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