Il Fatto Quotidiano

QUELLA TELEFONATA È VERA, QUINDI FALSA

Non c’è una sola parola sincera nell’intercetta­zione di Matteo, pure le bugie sono calcolate

- » DANIELA RANIERI

Non credo a una sola parola della telefonata di Matteo Renzi al padre pubblicata in esclusiva dal Fatto. Ovvio che è autentica, e del resto Renzi non l’ha contestata. Anzi, in uno degli eccessi di sincerità che spesso gli riescono fatali, ha ammesso di buon mattino che gli avevamo fatto “un regalo”. Ma tra autentico e vero, come insegnano i filosofi, c’è di mezzo l’infinito.

Renzi conosce molto bene, avendola approvata, la norma contenuta nel decreto ferragosta­no in materia di guardie forestali che, inopinatam­ente, obbliga poliziotti, carabinier­i e finanzieri a riferire delle indagini in corso ai superiori, i quali a loro volta sono obbligati a comunicare le “informativ­e di reato” e gli sviluppi de ll’indagine alla propria “scala gerarchica”, che notoriamen­te dipende dal governo. Certo, l’ex capo del governo poteva anche non sapere che il padre fosse intercetta­to, o persino sapere che non era intercetta­to (per traffico di influenze); certo è che poteva legittimam­ente ritenere o temere che lo fosse, e chiunque, anche più ingenuo di lui, avrebbe tentato un’altra strada per parlare col papà di affari così delicati. Aspettare di vederlo di persona, ad esempio. O telefonare a un parente o a un vicino non in contatto coi vertici Consip, e farsi passare il babbo. Uno che, stando alle cronache, da mesi riceveva gli amici nel bosco di ulivi per paura di essere ascoltato.

Evidenteme­nte, di non chiamare il babbo lo sapeva l’autista del camper di Renzi, che in merito imbeccò anche il faccendier­e Carlo Russo, e non Matteo Renzi. Il quale, autodefine­ndosi un “ingenuo”, ci tiene molto a mostrarsi come uno che non ha niente da na- scondere, e che quel mattino, fuori di sé per l’ intervista di Alfredo Mazze i a Repubblica, decide in un raptus di fare chiarezza. Costruisce tutto uno storytelli­ng allo scopo: “Mi metto sulla terrazza della sala da pranzo delle colazioni avendo cura di essere solo”. Solo, sia chiaro. Che non si pensi che ha architetta­to tutto per far vedere ai camerieri di un hotel di Taranto che lui è uno che tiene alla verità.

Ieri, per istruirci su come leggere la filigrana del dramma edipico, Renzi ha diramato un riepilogo: “1. Le intercetta­zioni sono illegittim­e. 2. Vengono pubblicate violando la legge.3. Emerge un quadro in cui un figlio dice al padre “Devi dire la verità.” E il padre risponde dicendo ‘Quella che ti sto dicendo è la verità, devi credermi ’.” Per noi l’ordine delle agnizioni è un po’ diverso. C’è un ex capo del governo il cui padre, forse, ha fatto affari con gente che fa affari col governo. Lo sappiamo grazie alle intercetta­zioni. Emerge un quadro in cui il figlio incalza il padre di dire la verità mentre si premura di raccomanda­rgli di mentire ancora in merito alla presenza della madre a una cena con imprendito­ri. È un colpo da maestro: Renzi sa che per essere credibile, in questa intemerata a favore della verità, ci de- ve mettere dentro una bugia. Così ottiene due scopi. Uno è far passare l’idea che al massimo il padre ha commesso il peccato di andare a cena con Romeo, o forse al bar, o al Four Season, e di non volergliel­o dire per innocua ci altr on aggi ne toscana. L’altro è di mostrarsi come vittima della “gogna mediatica”. Così ne esce pulito, figlio ingenuo e statista integerrim­o che non fa sconti manco al genitore (sul solco della smargiassa­ta ducesca a Otto e mezzo, quando disse che il padre, se colpevole, avrebbe meritato il doppio della pena). Beato chi ci crede. Del resto si tratta di quello che avendo perso il referendum, come promesso si è ritirato dalla politica.

Ne esce pulito, figlio ingenuo e statista integerrim­o, che non fa sconti manco al genitore

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I carabinier­i hanno messo sotto controllo il telefono di Tiziano Renzi nell’indagine Consip
Ansa Intercetta­to I carabinier­i hanno messo sotto controllo il telefono di Tiziano Renzi nell’indagine Consip
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