Il Fatto Quotidiano

Il buono, il brutto, il cattivo e il Quarto Potere

Washington Post e New York Times all’assalto fra Fbi, generali e diplomatic­i russi

- G. G.

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caso Trump’non è ancora il ‘caso Nixon’, pur se l’epilogo potrebbe essere analogo. C’è un presidente che, almeno a conoscenza dei media e, quindi, del pubblico, non ha ancora commesso reati. Contro di lui, c’è una sorta di mozione di sfiducia preventiva dell’intelligen­ce e di parte della politica: lo si cerca di fermare prima che compia errori irreparabi­li, per la sicurezza dell’America e del Mondo: con l’attacco a sorpresa alla Siria, c’è già andato vicino.

Nel 1973, invece, W. Mark Felt, la gola profonda di Bob Woodward e Carl Bernstein, numero due dell’Fbi, agì magari anche per rancori personali, perché non era stato fatto direttore, ma si mosse quando Nixon e la sua gang avevano abbondante­mente violato la legge e c’era il rischio che restassero impuniti. Chi sono i protagonis­ti di questo nuovo intrigo? Ne raccontiam­o 5: il fellone, il generale Michael Flynn, dimessosi, causa Russiagate , da consiglier­e per la Sicurezza nazionale; l’ignaro, il generale McMaster, ora consiglier­e per la Sicurezza nazionale, che prova a tamponare le falle del presidente; l’ambiguo, James Comey, il capo dell’Fbi, licenziato; il cattivo per ruolo più che per colpe, l’ambasciato­re russo a Washington Sergei Kislyak, sempre presente su tutte le scene del delitto; e i cavalieri bianchi d’un’America inquieta, Washington Post e New York Times, impegnati a riscattare la patente di irrilevanz­a acquisita durante la campagna, quando (quasi) tutti i media autorevoli erano contro Trump e Trump vinse.

MICHAEL T. FLYNN, generale, 59 anni, direttore della Defense Intelligen­ce Agency sotto Obama, poi dimessosi per dis- sapori con l’Amministra­zione e sempre al fianco di Trump in campagna elettorale, fino a diventare consiglier­e per la Sicurezza nazionale. Nemico dell’Iran e amico – troppo? – della Russia, paga la mancanza di chiarezzac­on emissari del Cremlino. H.R. McMaster si ritrova consiglier­e per la Sicurezza nazionale senza forse sapere perché: generale, 55 anni, viene promosso da ‘numero due’a‘numero uno’dopo le dimissioni di Flynn. All’inizio, è un vaso di coccio fra vasi di ferro; ma, in capo a poche settimane, si libera delle scomode presenze di Steve Bannon e altri consiglier­i presidenzi­ali. Ora, gli tocca cavare le castagne dal fuoco al presidente: lo fa con militare disciplina, ripetendo senza batter ciglio nove volte la parola “appropriat­o”– detto del comportame­nto di Trump – nello stesso briefing.

JAMES COMEY, repubblica­no, 57 anni, nominato direttore dell’Fbi dal democratic­o Obama e ‘licenziato’ dal repubblica­no Trump, è un campione d’ambiguità: uomo dalla schiena dritta? O servitore subdolo di troppi padroni? Negli ultimi giorni della campagna elettorale, gioca pro Trump smaccatame­nte, riaprendo e chiudendo l’inchiesta per l’emailgate sul conto di Hillary Clinton. Poi, con Trump alla Casa Bianca, invece di passare all’incasso, riceve il benservito, pare perché non cede sul Russiagate. Sergei Kislyak, il profilo pacioso e la silhouette abbondante ricordano un po’ Kruscev un po’ i mugiki di Tolstoi. Ucraino d’origine, russo per scelta, 67 anni, è onnipresen­te nel Russiagate: incontra Trump e tutti i suoi consiglier­i rilevanti fin dalla campagna elettorale. È anche testimone delle confidenze ‘galeotte’ di Trump a Lavrov. Diplomatic­o di carriera, rappresent­ante della Russia alla Nato, a Washington dal 2008: lo mise lì Medvedev, ce lo ha lasciato Putin. Il Quarto Potere: eclissati dalle elezioni, Washington Post e Ne w York Times guidano l’assalto alla diligenza del potere. Fra i due giganti dell’informazio­ne tradiziona­le è una corsa a chi butta giù Trump dalla torre.

 ?? Reuters ?? Il generale McMaster, l’ex capo Fbi, Comey, l’ambasciato­re russo Serghiei Kislyak
Reuters Il generale McMaster, l’ex capo Fbi, Comey, l’ambasciato­re russo Serghiei Kislyak
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Giochi di ruolo
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