Il Fatto Quotidiano

Legge elettorale a rischio: troppa fretta, pochi voti

Renzi vuole chiudere prima della manovra, ma deve convincere almeno 15 senatori

- » WANDA MARRA

In aula il 5 giugno, ma con l’accordo di contingent­are i tempi per chiudere entro la fine del mese. La prima battaglia della guerra sulla legge elettorale finisce con un pareggio, che nasconde qualche insidia per il Pd. Matteo Renzi si è messo l’elmetto. Dopo 24 ore di spaesament­o, causato dal fatto che il Pd ha presentato un testo nuovo di zecca, annunciato come un’evoluzione del Mattarellu­m ma in realtà mai presentato prima, l’opposizion­e ha reagito alzando gli scudi. Il primo ostacolo di fronte alla rinata foga dell’ex premier sono i tempi: lui vuole chiudere prima dell’estate, gli altri vogliono più tempo. Il secondo sono i numeri, quelli del Senato, tutt’altro che certi. E al netto dei “tatticismi” politici è lo stesso sistema che non convince molti. Andrea Augello, che a partire da Idea in Senato, ha formato un nuovo gruppo contro la legge elettorale, insieme a Gaetano Quagliarie­llo e ad altri, spiega: “Si tratta di un iper maggiorita­rio. Sulla carta, visto che non c’è il meccanismo dello scorporo, in teoria puoi anche vincere più della metà dei collegi e con il 30% dei voti prendere il 55%”.

IERIin Commission­e Affari costituzio­nali le opposizion­i (M5s, Forza Italia e Mdp) e Ncd hanno chiesto più tempo e che l’approdo in aula del testo slittasse dal 29 maggio (data prevista) al 5 giugno. A stigmatizz­are l’operazione per conto di Renzi è stato il capogruppo del Pd, Ettore Rosato: “Noi chiediamo solo il rispetto dei tempi: se la legge elettorale arrivasse in aula a giugno, non si potrebbe ricorrere al contingent­amento e si finirebbe per discuterla alla Camera nel mese di luglio, con il rischio di vederla al Senato a ottobre, quando c’è la legge di stabili- tà”. Sarebbe la fine delle ambizioni (ormai remote) di voto in autunno. Rosato ribadisce poi che “chi sta facendo questa operazione” per rivedere il calendario dei lavori, “non vuole fare la legge elettorale, vuole andare al voto con i sistemi usciti dalla Consulta”.

Questo vuol dire che il Pd è già pronto a passare al piano B, a lasciar perdere il nuovo testo e a tornare al Consultell­um? Rosato nega seccamente. Di certo, però, è chiaro il sottotesto: ultima offerta possibile, poi l’unica possibilit­à è armonizzar­e i sistemi usciti dalla Consulta. “Rosato dovrebbe vergognars­i. Il Pd ha bloccato per sei mesi il Parlamento ed ora viene a farci la morale a noi”, dicono i Cinque Stelle in una nota. Per dirimere la questione, il presidente della Commission­e, Andrea Mazziotti è andato dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. Capigruppo convocata in serata, che alla fine dà un colpo al cerchio e uno alla botte: in aula il 5 giugno con l’impegno condiviso a un contingent­amento ampio a giugno dei tempi d’aula in modo da chiudere entro lo stesso mese. Impegno che però non è una certezza.

Nel frattempo, la trattativa è partita in Senato. Ancora in alto mare, come spiegano renziani e anti renziani. Si parte da 145 voti a favore della legge proposta: 98 del Pd, 16 di Ala, 12 della Lega, gli altri tra Gal e Autonomie. Ne servono minimo 155-160.

Gli uomini del pallottoli­ere (da Andrea Marcucci a Luigi Zanda) puntano ai centristi di Ap (che sono 27). La soglia di sbarrament­o adesso è il 5%: portandola al 4% sperano di conquistar­si il favore di Alfano & co. Va detto però che non tutto il Pd è compatto: potrebbero sfilarsi Tocci, Manconi e Mucchetti. I dem sperano sempre di spaccare Forza Italia: Paolo Romani, il capogruppo, è sempre stato dialogante su questo tipo di sistema. E il tentativo dei renziani è quello di convincere Berlusconi, secondo il principio: perché dovrebbe dire di no a un sistema che gli permettere­bbe di fare coalizioni a Nord con la Lega e a Sud con chi vuole?

La critica

I conti di Augello (Idea) “Si può anche prendere il 55% dei seggi col 30% dei voti, in teoria”

TUTTO da vedere. Anche perché la trattativa si fa non solo sulle modifiche possibili della legge, ma soprattutt­o sui collegi uninominal­i sicuri che Renzi è disposto ad offrire. Per lui comunque la strategia è “o la va o la spacca”. Se riesce bene, se non riesce per lui si vota così com’è.

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La Presse Déjà-vu Matteo Renzi alle prese con la legge elettorale

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