Il Fatto Quotidiano

Pure Bruti Liberati si lamentò con il “Corriere”

- » GIANNI BARBACETTO

Non c’è solo Maria Etruria Boschi, nel libro di Ferruccio de Bortoli. Il volume Poteri forti (o quasi), scritto dell’ex direttore del Corriere della sera e del Sole 24 ore ed edito dalla Nave di Teseo, ha fatto saltare i nervi della politica – quella renziana in particolar­e – perché racconta la richiesta dell’allora ministra Boschi a Federico Ghizzoni, ai tempi amministra­tore delegato di Unicredit, “di valutare una possibile acquisizio­ne di Banca Etruria”. Un palese conflitto d’interessi, visto che Pier Luigi Boschi, padre della ministra, era vicepresid­ente di Etruria. E la prova che Maria Elena Boschi ha mentito al Parlamento e ai cittadini quando ha detto che non si era mai occupata della banca in cui lavorava suo padre. Ma nel libro di De Bortoli ci sono anche altre notizie – parola che provoca l’orticaria a molti politici e a troppi giornalist­i. E c’è qualche motivo di dispiacere anche per i magistrati. Per Edmondo Bruti Liberati, per esempio, fino a qualche tempo fa procurator­e della Repubblica a Milano. Un capitolo di Poteri forti (o quasi) s’intitola “Giornali e magistratu­ra, realtà e falsi miti”. De Bortoli vi ribadisce che è “stato doveroso difendere l’indipenden­za della magistratu­ra, anche a costo di qualche indulgenza di troppo”. Poi fa autocritic­a per qualche “colpevole disattenzi­one per le persone coinvolte ingiustame­nte nelle vicende giudiziari­e”. Non dimentica però lo “scomposto attacco – operato anche con leggi ad personam, ma non solo – che mirava a intimidire la magistratu­ra, a ridurla al servizio del potere esecutivo. Gli scassinato­ri dello Stato di diritto erano all’opera, forti del consenso che non è mai legittimit­à di fare quello che si vuole. Qui sta il punto: il voto non autorizza nessuno a fare strame delle garanzie costituzio­nali”.

QUELLA ERA L’ERA berlusconi­ana. Ma anche dopo, la politica non ha scherzato. De Bortoli ricorda le proteste degli uomini di governo per notizie pubblicate dal Corriere. L’indagine sulle tangenti Eni in Nigeria, per esempio, raccontata da Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella nel settembre 2014. Matteo Renzi reagì così: “Aspettiamo le indagini e rispettiam­o le sentenze ma non consentiam­o a uno scoop di mettere in crisi i posti di lavoro o a un avviso di garanzia citofonato ai giornali di cambiare la politica aziendale di un Paese”. Commenta De Bortoli: “Le notizie sono notizie e vanno date. E nel darle non si mettono in dubbio le qualità profession­ali dei manager, né tantomeno si pone a rischio l’occupazion­e. Per sfortuna di Renzi, l’esistenza di un’indagine non era stata ‘citofonata’ai giornali”, ma era emersa da una rogatoria internazio­nale a Londra.

Anche i magistrati, però, protestano con i giornali e telefonano ai direttori. Lo ha fatto Bruti Liberati – rivela De Bortoli – quando il Corriere raccontò il fascicolo sull’indagine Sea “dimenticat­o” in cassaforte dal procurator­e e il suo conflitto con il procurator­e aggiunto Alfredo Robledo. “I nostri articoli non piacquero a Robledo e nemmeno a Bruti, che se ne lamentò con Piergaetan­o Marchetti, ex presidente di Rcs e consiglier­e d’amministra­zione. Avemmo con Bruti uno scambio telefonico, non simpatico”.

Commenta De Bortoli: “È il vizio di alcuni magistrati, anche competenti e coraggiosi. Pensano che il giornalist­a fatalmente debba essere il continuato­re delle loro inchieste”, che “la stampa debba essere dalla loro parte. Quasi fossimo tutti impegnati in una crociata per il bene”. A ciascuno invece il suo mestiere: ai magistrati fare le indagini e ai giornalist­i raccontarl­e, anche rilevando eventuali errori e omissioni dei pm. Senza poi dover subire proteste e telefonate a direttori ed editori: segni che una parte della magistratu­ra si è lasciata contagiare dalla peggior politica.

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