Il Fatto Quotidiano

“Antonio mi diceva sempre: parla finché sei in tempo”

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Mi ci è voluto del tempo per poter parlare al passato di Antonio e del nostro rapporto. Perché il nostro è stato un rapporto che è durato una vita, in fondo lunga (anche se non abbastanza lunga). Ci siamo conosciuti molto giovani, in Portogallo. Io avevo diciannove anni, lui ventidue, dunque eravamo proprio dei ragazzi, e siamo diventati amici. Ci siamo scritti in francese perché io non conoscevo l’italiano e lui era ancora timido con il portoghese: si era appena iscritto a Lettere a Pisa e lo stava imparando. Un anno dopo ci siamo rivisti in Italia, ci siamo innamorati, abbiamo attraversa­to insieme le vicissitud­ini della vita, e non mi vergogno di dire che eravamo ancora innamorati quando lui è partito.

LA NOSTRA VITAsi è svolta soprattutt­o in Italia, dove siamo stati professori all’Università, io a Pisa, Antonio a Bologna, Roma, Genova e poi finalmen- ter di Washington con i leader islamici, uniti nella lotta al terrorismo: “Un gesto bellissimo – ricorda Ani – ma a rappresent­are l’Islam c’erano solo i musulmani più conservato­ri, come se a rappresent­are l’ebraismo venissero chiamati solo gli ultra ortodossi. Dopo l’attacco alle torri gemelle c’è te a Siena, il momento più gratifican­te del suo magistero. Le estati le passavamo in Portogallo e ci abbiamo anche vissuto per dei periodi lunghi negli ultimi anni. Il Portogallo, Antonio l’ha conosciuto a fondo nei suoi anfratti, nei suoi segreti, e aveva una grande familiarit­à con la lingua portoghese, con le sue sfumature colloquial­i, le sue espression­i idiomatich­e, le sue metafore, fin dagli anni in cui la creatività della lingua era una delle forme di resistenza alla dittatura. Abbiamo anche vissuto a Parigi, una città che amava in quanto faro culturale ma anche per l’attenzione dedicata stato il trionfo degli stereotipi e tutti i musulmani americani sono diventati conservato­ri e tutte le donne dovevano avere il velo e i gay musulmani non esistevano. Se ti invitavano in television­e dovevi indossare l’hijab, altrimenti non eri musulmana abbastanza!”.

Ani prende posizione: pro- alla fruizione della bellezza e al piacere dei sensi.

Del Portogallo, un’altra cosa che credo che abbia amato è stata la sua storia, il fatto che i portoghesi fossero andati in giro per il mondo e avessero conosciuto altri popoli, avessero instaurato rapporti con genti così diverse. Forse perché era una caratteris­tica che aveva anche lui, la curiosità verso gli altri. Abbiamo fatto molti viaggi insieme e ogni volta mi colpiva il suo interesse per la gente che incontrava­mo, per i diversi modi di essere e di pensare. Una battuta? Antonio mi diceva sempre una frase che mi colpiva molto e lo duce l’album Ummah Wake Up! con cui chiede alla comunità di svegliarsi e lottare per migliorare, canta Jihad is long overdue, è tempo di sfide, ritmo rock e strumentaz­ione mediorient­ale al sintetizza­tore.

LE ORGANIZZAZ­IONI musulmane insorgono: la voce può essere accompagna­ta solo da percussion­i, le dicono, e comunque può essere solo una voce maschile, quello che ha fatto è assolutame­nte vietato! Lei non cede e fonda il gruppo dei musulmani progressis­ti. È nata in Malesia, dice, un paese multicultu­rale e multirelig­ioso, è cresciuta osservando e rispettand­o tutte le profession­i di fede, la sua famiglia aveva amici di ogni religione, questo è il suo Islam: liberale, semplice, amorevole e compassion­evole. Premio Campiello per “Sostiene Pereira”, i suoi libri sono stati tradotti in 18 lingue faceva anche perché sono sempre stata un po’ timida: “Parla, perché poi un giorno avremo la bocca piena di terra e non potremo più dire la nostra”. È importante parlare. Irapporti

di mio padre con i paesi dove ha vissuto erano tutti diversi, con l’Italia aveva un rapporto, con il Portogallo un altro, con la Francia un altro ancora. È venuto in Portogallo a metà degli anni Sessanta, in un paese che nessuno conosceva in quel periodo, perché era un paese abbastanza nascosto per via di questa dittatura che durava da tanti anni, e se ne è subito innamorato. [...] Però si sentiva italiano, era un toscanacci­o, si è laureato e ha iniziato a lavorare in Italia. Il rapporto con l’Italia si è deteriorat­o abbastanza recentemen­te, e infatti alla fine ha deciso di andare a vivere a Parigi, una quindicina di anni fa, anche perché Parigi è una città dove lui comunque si trovava bene, aveva molti amici intellettu­ali. [...] Con l’Italia il rapporto è stato un po’ di amore e odio, come si suol dire, perché, essendo lui un intellettu­ale al quale interessav­a molto la sorte del Paese, alcuni grandi cambiament­i che sono avvenuti negli ultimi vent’anni, con la television­e e poi con Berlusconi, lo avevano un po’, come dire, turbato e fatto deprimere. [...]

Purtroppo tutti questi anni di berlusconi­smo, di “cultura” berlusconi­ana e di television­e hanno un po’ lobotomizz­ato i miei connaziona­li. Questa cosa mio padre la soffriva parecchio devo dire, e alla fine ha

MOLTI INTELLETTU­ALI, come dire, si sono zittiti, oppure erano vicini a questo o a quel partito, non se la sentivano di criticare troppo, e non si sono accorti del cambiament­o radicale, culturale, che c’è stato, che poi è sempliceme­nte la profezia di Pasolini, io penso insomma, di quarant’anni prima, che lui già aveva visto. Curioso il caso Cesare Battisti, sul quale mio padre aveva fatto un discorso del tutto personale, dunque non vicino a nessun partito, tant’è che questa “indipenden­za” gli aveva portato molte critiche, soprattutt­o in Francia, dove per tanti anni

Il libro Chi era Nato a Pisa nel 1943 e morto a Lisbona nel 2012, è stato anche docente di Letteratur­a portoghese

La carriera MARIA JOSÉ DE LANCASTRE

Abbiamo fatto molti viaggi insieme e ogni volta mi colpiva il suo interesse per la gente che incontrava­mo, per i diversi modi di essere e di pensare MICHELE TABUCCHI

Alcuni grandi cambiament­i avvenuti negli ultimi vent’anni, con la tv e poi con Berlusconi, lo avevano un po’ turbato e fatto deprimere

chi aveva commesso reati legati a dei movimenti politici veniva comunque protetto e trattato come un esiliato politico, o al pari di chi chiede asilo politico. Queste dinamiche vicine agli anni Settanta o Ottanta, Novanta, mio padre le ha criticate, solo perché gli sembrava giusto che uno che ha commesso un delitto, soprattutt­o se si tratta di un omicidio e di aver lasciato una persona sulla sedia a rotelle per sempre, affrontass­e la propria responsabi­lità, indipenden­temente da chi fosse. Questo vale per i potenti, ma anche per gli intellettu­ali.

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Agf L’amore per Lisbona Antonio Tabucchi ha vissuto a lungo con la moglie Maria José in Portogallo
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