Alla rockstar del grunge non bastava la normalità
Si vede che nell’aldilà piace il grunge. Dopo la morte – tra gli altri – di Kurt Cobain, di Scott Weiland (dei Stone Temple Pilots), di Layne Staley (Alice in Chains), tocca ora a Christopher John Boyle lasciare questo mondo. Noto ai più come Chris Cornell, era la voce dei Soundgarden, dei Temple of the Dog e degli Audioslave. Una delle migliori degli ultimi 30 anni.
È morto a Detroit a 52 anni, nel bel mezzo di un tour. Il suo agente Brian Bumbery ha confermato la notizia dicendosi sconvolto per il fatto “improvviso e inatteso”. I medici stanno indagando sulle cause della scomparsa: si parla di suicidio, Chris è stato ritrovato nel bagno della sua stanza d’albergo con una benda attorno al collo. Quello che colpisce è che Cornell fosse in buona salute e pulito da anni. Era in tour a Detroit, e ancora alle 2 di notte postava su twitter – “Detroit finally back to Rock City!!!!” – dopo un live con i Soundgarden. Poi l’amaro risveglio. Degli altri.
OVVIAMENTE è pieno di colleghi che lo ricordano, da Billy Idol a Jimmy Page. Ma non è tempo per l’agiografia: Cornell, che è riuscito a trasformarsi da icona indie a popstar, ha vissuto molte vite. Tossico, alcolizzato e anoressico, quindi padre di famigli/e – cinque figli, due mogli – con casa nell’amata Roma e pacificazione presunta. “I’m a family band”, diceva ormai di sé. Droghe out dal backstage, moglie al seguito....
Prima era diverso. “Con i Soundgarden abbiamo fatto un ottimo lavoro – spiegò a Jamtv – ma poi finisci per essere ciò che volevi distruggere. Ero giù, ero teso. Non ho mai festeggiato. Non sono mai stato felice. Quel che allora non sapevo è che avrei provato quelle cose per altri 10 anni. Cominciai a bere in modo eccessivo. Facevamo concerti mediocri. Poi smisi di mangiare e dimagrii vistosamente”.
Anche in epoca Audioslave i problemi non mancavano. “Ero in una clinica di disintossicazione quando uscì il primo album. Ricordo il video di Cochise: mi prelevarono dalla clinica. Ora scopro che cantare sobrio è un’altra cosa: ti senti connesso con l’emozione espressa dalla musica”. Misura, tranquillità.
E allora, perché è morto? Per i fantasmi del passato? Per una vita che è anche alienante, da burn-out? O per caso? “La prima volta lo incontrai il 6 giugno del 1989 – ricorda il presidente della Universal, Alessandro Massara –, suonò con i SG a Roma in un club di periferia, di fronte a 50 persone. Poi lo intervistai spesso. Mi sembrava una persona pacata, gentile, timido in qualche maniera”. Rosario Leo, ora a Vertigo Concerti, racconta: “Ho lavorato con Cornell, l’ultima volta un anno fa. Me lo ricordo preciso, professionale, disponibile. Magari il successo avuto durante l’esplosione del grunge può aver dato alla testa, ma lui aveva da tempo deciso di fare un’altra vita – come molte rockstar mature che si ripuliscono: niente eccessi, famiglia al seguito, salutismo… Difficile spiegarsi questa cosa. Girare in continuazione non stimola il relax, ma lui sembrava stare bene.”
Valentina Ferrara di Vivoconcerti è stupita e triste: “Seguo gli artisti e i dj’s che passano ai festival. Sono su e giù in continuazione dagli aerei, dormono poco. Però si divertono, sfanno della passione la loro vita”. Gianni Maroccolo – icona dell’indie nostrano: “Ho vissuto anche io il mio periodo dove non esistevano nè limiti nè eccessi… E scoprivo anche le pressioni degli ‘addetti ai lavori’, i trabocchetti dello show business, i falsi amici che ti succhiano l’anima. L’insieme delle cose mi ha regalato momenti indimenticabili, qualche danno fisico e perchè no, psichico”.
UNA RIFLESSIONE interessante viene da Claudio Trotta, icona della Barley Arts: “Ho lavorato con Cornell ma non l’ho conosciuto bene, quindi non azzardo opinioni. Cosa passa nella mente degli umani è un mistero. È evidente, in generale, che chi passa da essere sconosciuto ad essere ricco, adorato, coccolato, quasi mai con persone attorno che hanno il coraggio di dire cosa servirebbe, può creare problemi. Il mondo di chi è attorno agli artisti dovrebbe sentirsi responsabile di ricordare loro che sono normali. Altrimenti non si fa il loro bene. L’entourage degli artisti – ma non sto parlando di Cornell – fa tutta la differenza rispetto al loro benessere”.
Cornell se ne va senza lasciare parole: “Non credo che la natura umana sia fatta per placare una certa scontentezza perenne – disse una volta –. La religione risolve tale conflitto creando un aldilà dove possiamo calmare le nostre ansie, un paradiso dove il vuoto sarà riempito.”
Vite maledette Rosario Leo (Vertigo Concerti) che aveva lavorato con lui: “Girare in continuazione non stimola il relax, ma sembrava stare bene”