Quando la difesa è legittima e quando non lo è
“I giuristi, con rare eccezioni, sono inconsciamente e tenacemente contrari alla chiarezza e alla sintesi”
(da “La regola dell’equilibrio” di Gianrico Carofiglio – Einaudi, 2014 – pag. 96)
Domenica scorsa il Tg1 delle 20 ha trasmesso in apertura un video-choc, ripreso con l’inquadratura fissa di una telecamera di sicurezza, che offre un documento impressionante. E non solo sul piano mediatico. Nel filmato, si vede il killer Igor che entra nel bar di Budrio, imbracciando un fucile e minacciando gli avventori per estorcere loro denaro. Il proprietario del locale gli passa davanti e riesce a strappargli l’arma dalle mani. Poi, brandendo il fucile dalla canna, con il calcio tenta di colpire l’aggressore per neutralizzarlo. Igor si rifugia nel retrobottega e a quel punto, mentre i due uomini sono fuori quadro, nella registrazione si sente uno sparo: il killer ha estratto a sorpresa una pistola e ha ucciso il malcapitato barista. Fine del video. E complimenti al Tg1 per averlo trasmesso in “copertina”, senza forzature o strumentalizzazioni propagandistiche. Che cosa documenta il video- choc? Documenta, innanzitutto, che un malvivente irrompe armato in un locale pubblico, minaccia le persone presenti e tenta un’estorsione. In particolare, documenta che uno degli aggrediti lo disarma; non gli spara con il fucile, come pure avrebbe potuto fare in forza della legittima difesa; e anzi, cerca di neutralizzarlo in misura più che proporzionale all’offesa subita. Ma, non prevedendo che l’aggressore abbia un’altra arma, il barista alla fine perde la vita.
CON LA FORZA delle immagini, questo filmato-verità dimostra – più di qualsiasi “fiction”– che il sacrosanto principio della proporzionalità non è sufficiente a valutare la legittimità della difesa. Né tantomeno a garantire l’incolumità dell’aggredito. Anche quando la vittima di una minaccia grave reagisce in modo ineccepibile, disarmando l’aggressore e rinunciando a sparargli, può rischiare di rimetterci la pelle. Nei seminari di Diritto penale, s’insegna agli studenti un “caso di scuola”: quello del contadino al quale non è lecito uccidere il ladruncolo che entra nel suo campo per rubare una mela. Siamo d’accordo. Ma al giorno d’oggi la criminalità ha raggiunto ormai un tale livello di organizzazione, aggressività e violenza, che occorre ampliare opportunamente l’ambito dell’autodifesa per tutelare meglio la sicurezza dei cittadini. Bisogna considerare cioè la potenzialità dell’offesa, oltre alle condizioni ambientali e psicologiche: non tutti, di fronte a un pericolo, possono avere la lucidità e il coraggio del povero barista. La violazione di domicilio, casa o ufficio che sia, costituisce di per sé una minaccia, di giorno o di notte. E comunque, qui l’offesa è sempre intenzionale mentre la difesa è una reazione istintiva. Questo non significa ovviamente che si debba consentire a chiunque la detenzione di un’arma, già oggi sottoposta a condizioni, limiti e controlli. Né che si debba rilasciare a chicchessia una “licenza di uccidere” che, in realtà, non hanno neppure le forze dell’ordine. Occorre, piuttosto, ridefinire con maggiore chiarezza l’ambito della legittima difesa in modo che sia un deterrente più forte per i criminali. Che cosa sarebbe accaduto se il delitto di Budrio non fosse stato ripreso da una telecamera e il barista avesse reagito uccidendo il malvivente? L’uomo sarebbe finito verosimilmente sotto processo, com’è già capitato a tante vittime di aggressioni o rapine. E magari sarebbe stato chiamato a dimostrare la propria innocenza, subendo in pratica un’inversione dell’onere della prova.