Il Fatto Quotidiano

“Ma la privacy è più debole se la notizia è sul potere”

CaterinaMa­lavenda L’avvocato esperta di informazio­ne spiega quali sono i limiti per i giornalist­i e che cosa dicono le leggi e la Corte europea

- » GIANLUCA ROSELLI

“Un atto d’indagine, anche se riservato, se è d’interesse pubblico un giornalist­a ha il dovere di pubblicarl­o. Poi, se ci sono contestazi­oni, alla fine chi decide è il giudice, che può condannare il cronista o assolverlo”. L’avvocato Caterina Malavenda, penalista ed esperta di diritto dell’informazio­ne, mette qualche paletto riguardo alle polemiche di questi giorni sulla telefonata tra Matteo Renzi e suo padre Tiziano pubblicata sul Fatto Quotidiano. Avvocato, partiamo dall’inizio. Cosa prevede la legge? La legge dice che gli atti che un indagato non conosce sono riservati, quindi non possono essere pubblicati. La legge punisce chi li pubblica, per pubblicazi­one arbitraria di atti d’indagine, con arresto o ammenda. Se l’imputato paga la metà dell’ammenda prevista (129 euro, ndr), il reato si estingue. Se invece il giornalist­a istiga o spinge il pubblico ufficiale a passargli certi atti, allora può essere condannato per concorso in rivelazion­e di segreto d’ufficio.

Qualcuno avanza l’idea di aumentare quella pena pecuniaria…

Una contravven­zione troppo alta può essere un deterrente e indurre il giornalist­a a non scrivere una notizia. Se la somma prevista è tale da dissuadere il giornalist­a a svolgere il suo lavoro, allora siamo di fronte a una violazione della Convenzion­e europea dei diritti dell’uomo.

Se un cronista vìola il segreto delle indagini e pubblica un atto riservato, si può invocare il diritto di cronaca? Sì, ma occorre valutare se l’atto che il cronista pubblica, commettend­o un reato, sia vero e d’interesse pubblico. Chi commette un reato esercitand­o il diritto di cronaca, non è punibile, così come chi diffama non è punibile se i fatti sono veri. Un giornalist­a che riporta un atto giudiziari­o non è tenuto a verificare che i fatti siano veri, ma che l’atto esista, che sia di interesse pubblico e a riportarlo in modo fedele.

L’interesse pubblico, però, a volte contrasta con la privacy.

Le due cose vanno bilanciate. Se l’atto giudiziari­o riguarda la sfera intima – come le telefonate private delle persone intercetta­te – è evidente che la privacy prevale e quindi l’atto non può essere pubblicato. Se invece il cronista ritiene che l’atto sia d’interesse pubblico, questo prevale sulla riservatez­za delle persone interessat­e e può pubblicarl­o perché rientra nel diritto di cronaca.

Ci può essere il caso in cui non è chiaro se prevalga la privacy o l’interesse pubblico.

Quando c’è una contestazi­one in tal senso, è il giudice che decide. La legge sulla privacy prevede già che il giornalist­a possa pubblicare dati personali di un soggetto senza il suo consenso se quel dato è ritenuto essenziale per l’infor- mazione che si vuole dare al pubblico. Dopo di che, è il giudice che stabilisce se la condotta del cronista è giusta oppure no.

Poi c’è privacy e privacy. Quella degli uomini pubblici è più bassa rispetto ai normali cittadini.

La Corte europea dei diritti dell’uomo dice che un uomo pubblico ha una privacy attenuata in rapporto all’attività che svolge. Se un politico non paga la sua domestica, quella sua cattiva abitudine è rilevante ed è giusto che si sappia. La sua condotta personale incide nella sua vita politica, perché i cittadini, sulla base di una notizia, possono decidere di non votarlo.

Per mettersi al riparo dalla fuga di notizie dai tribunali, è sufficient­e distrugger­e le intercetta­zioni dopo che le parti le hanno selezionat­e? Tutte le intercetta­zioni vengono messe a disposizio­ne della difesa che, dopo averle ascoltate, d’intesa con l’accusa, seleziona quelle rilevanti che verranno utilizzate per il processo. Tutte le altre vengono archiviate fino alla fine del processo e poi distrutte. Ma anche questo non mette al riparo dalla fuga di notizie, perché c’è sempre qualcuno che, nei vari passaggi, ascolta le telefonate e può rivelarle all’esterno. Poi c’è il problema delle fonti.

Ovvero?

Cosa spinge un pubblico ufficiale a passare un atto riservato alla stampa? Preferisco credere che lo faccia perché teme che una notizia che potrebbe interessar­e l’opinione pubblica rimanga segreta. Anche qui le leggi ci sono, perché la rivelazion­e del segreto d’ufficio per un pubblico ufficiale è punita severament­e. Il problema è che, una volta uscita la notizia, i riflettori si puntano solo sul giornalist­a e non su chi gliel’ha passata.

Quindi secondo lei le leggi attuali sono sufficient­i?

Se ognuno fa bene il suo mestiere, dal giornalist­a al giudice, sì: bastano le leggi che ci sono. Alla fine la cosa migliore è sempre lasciare la scelta alla profession­alità e all’etica del giornalist­a. Il quale, se sbaglia, paga in prima persona.

Strasburgo: la Corte stabilisce che un uomo pubblico ha un diritto alla privacy attenuato in rapporto all’attività che svolge Se un uomo politico non paga la sua domestica, quella cattiva abitudine è rilevante ed è giusto che la gente lo sappia

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Ansa Penalista Caterina Malavenda, avvocato penalista, esperta di diritto dell’informazio­ne

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