Caccia ai furbetti degli affitti in nero: scatta la “tassa Airbnb”
Cedolare secca anche se si pernotta meno di 30 giorni: già esisteva ma in pochissimi versano
Davide contro Golia. Ovvero il Fisco contro Airbnb che, a sua volta, si scontra con gli hotel tradizionali e i bed and breakfast senza partita Iva. E il duello finale andrà in scena il primo giugno, quando entrerà in vigore la cedolare secca con ritenuta del 21% anche per tutti gli affitti brevi, inferiori ai 30 giorni stipulati da persone fisiche “direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online”, dove si legge Airbnb, Homeaway, Booking e TripAdvisor.
Novità che ha fatto la sua comparsa nella manovrina di fine aprile (articolo 4 del Dl 50/2017) e il cui scopo, su carta, è chiaro: combattere l’evasione in un settore dove il nero è ancora piuttosto diffuso obbligando gli intermediari, tecnologici o non, a trasmettere i dati relativi ai contratti e ad agire come sostituto di imposta.
COSA SIGNIFICA? Cambierà qualcosa per i consumatori che, sempre più spesso, offrono la casa attraverso le agenzie immobiliari o i portali online per guadagnare di più rispetto all’affitto normale? La novità, intanto, ha un’enorme portata: secondo una ricerca condotta dal Monitor Allianz Global Assistance, saranno 30 milioni gli italiani colpiti dalla cedolare secca. Un intervistato su 2 ha, infatti, dichiarato di aver già utilizzato o di voler utilizzare in futuro i servizi di home sharing.
Dal canto suo per il governo la legge dovrebbe regolarizzare un giro d’affari da almeno 30 miliardi di euro che genera un piccolo tesoro di tasse evase che ammonterebbe a 3,6 miliardi di euro, cui sommare almeno “198 milioni di euro mai versati al fisco per il mancato pagamento della tassa di soggiorno nelle 10 principali città italiane”, denuncia Federalberghi. Numeri rispediti al mittente da Airbnb Italy se-