Trump oltre il Muro fa piangere i palestinesi
Il presidente Usa prega sui resti del tempio ebraico: Farò la pace in Medio Oriente
Infrangere le regole, sempre. Trump non ha potuto farne a meno neanche per il suo arrivo in Israele. Ieri poco dopo le 12, le 11 in Italia, l’Air Force One è atterrato all’aeroporto di Ben Gurion compiendo il primo volo diretto della storia tra Ryad e Tel Aviv. I sauditi non riconoscono lo Stato ebraico e i rapporti tra i due Paesi sono minimi. Diplomatici e uomini d’affari che viaggiano tra questi due mondi sono costretti a fare uno scalo intermedio. The Donald, no.
Scende dalla scaletta e ad accoglierlo c’è l’intera squadra di governo di Benjamin Netanyahu. Nei pochi passi che separano Trump dai ministri, lui tenta di prendere la mano della moglie Melania, lei gli rifila uno schiaffo sulle dita. Tutto filmato, tutto in diretta. La scenetta diventa subito virale.
Il corteo presidenziale parte per Gerusalemme. L’apparato di sicurezza è impressionante. Buona parte della città vecchia è chiusa al pubblico e tutto il perimetro delle mura è bloccato al traf- fico. Domenica sera un enorme spettacolo di luci ha trasformato la Porta di Giaffa in una discoteca a cielo aperto. Gerusalemme festeggia i 50 anni dalla cacciata dei giordani, la conquista della parte est della città. E da ieri la Città Santa ha un nuovo eroe: il presidente Trump. Appena eletto ha promesso di portare in città l’ambasciata Usa, spostandola da Tel Aviv, riconoscendo Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico. E poco prima della sua visita ha promesso la pace con i palestinesi garantendo agli israeliani la possibilità di continuare a costruire negli insediamenti durante i negoziati, 18 mesi. Presto arriverà la (post)verità, intanto il governo palestinese trova “positivo l’impegno di Trump”.
Trump si è raccolto in preghiera davanti al Muro del Pianto, con lui il genero Jared Kushner, ebreo ortodosso. Moglie, anche qui come a Ryad a capo scoperto contravvenendo al cerimoniale, e figlia, convertita al giudaismo, con cappellino, hanno pregato nella sezione del muro dedicata alle donne. Secondo i media israeliani la Casa Bianca avrebbe negato al premier Netanyahu di andare con Trump sui luoghi sacri.
I DUE, CON LE CONSORTI, si sono rivisti poco dopo per una visita dell’ospedale Hadassah Ein Kerem e le foto di rito con dei bambini. Prima di cena, a casa Netanyahu, Trump ha toccato il tasto più dolente: le informazioni passate al ministro russo Lavrov. Secondo diverse ricostruzioni le parole di Trump potrebbero aver messo in pericolo più fonti del Mossad. Nella conversazione con i russi “non ho mai menz io na t o” Israele ha detto il presidente statunitense al primo ministro. Tanto basta, discorso chiuso.
Nelle stesse ore in Cisgiordania era in corso uno sciopero generale, negozi chiusi e scontri con l’esercito israeliano. A fine giornata sono una decina i palestinesi feriti da proiettili di gomma. La protesta voleva “mostrare solidarietà ai prigionieri palestinesi che si trovano nelle carceri israeliane. Oltre mille di loro hanno iniziato uno sciopero della fame 36 giorni fa. A Betlemme, davanti alla chiesa della Natività, le madri dei detenuti in sciopero della fame hanno allestito una tenda. Si danno il turno, dormono e mangiano qui. Vogliono che il mondo parli delle pessime condizioni carcerarie in cui vivono i figli. “Il mio è in carcere da 14 anni, solo perché partecipava alle manifestazioni”, dice Layla Zawareh mentre stringe al petto uno foto, scattata prima dell’arresto, in cui suo figlio Mohammed non ha ancora vent’anni. “V ie ne Trump a Betlemme, ci vorrà parlare” conclude Layla. “Inshallah” risponde la signora sedutale accanto, con la stessa espressione ma con sul grembo la foto di un altro ragazzo.
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