Il Fatto Quotidiano

Il contagio veneto: le due popolari in crisi fanno tremare l’Italia

- » GIORGIO MELETTI

LI miliardi di capitale privato che PopVicenza dovrebbe trovare prima di attingere al sostegno pubblico o spettro del contagio incombe sul sistema bancario italiano. Il possibile fallimento (o risoluzion­e, o bail in) della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca è confermato dai silenzi del governo italiano e delle autorità europee. E con esso comincia a farsi strada il suo corollario: il contagio sul sistema economico e sulle altre banche. Corollario del corollario è il toto-contagiati. Quali banche colpite per prime?

LA GRAVITÀ della situazione delle due ex popolari venete si evince dalle parole della commissari­a europea alla Concorrenz­a Margrethe Vestager che una settimana fa, dopo aver descritto la difficile trattativa con il governo italiano per consentire il salvataggi­o statale del Monte dei Paschi di Siena, sulle discussion­i parallele a proposito delle due venete ha detto: “Non siamo così avanti, ma abbiamo predispost­o dei piani di lavoro che sono condivisi con tutte le parti del tavolo”. Tradotto: campa cavallo. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, intervista­to dal Financial Times, ha significat­ivamente parlato solo di Mps, spiegando perché da cinque mesi si gira intorno alla questione: “Non stiamo perdendo tempo, stiamo lavorando 24 ore al giorno”.

Se, come dicono, la questione Mps potrebbe essere risolta tra giugno e luglio, il discorso si chiuderebb­e dopo sei mesi per un istituto come quello di Siena che sta molto meglio delle due venete. I due istituti controllat­i dal Fondo Atlante hanno chiesto la “ricapitali­zzazione precauzion­ale” il 17 marzo. Se occorresse­ro anche per loro sei mesi di trattativa con Bruxelles e con la Bce di Francofort­e si arriverebb­e a metà settembre: troppo tardi. Il deflusso di depositi è lento ma costante. La Popolare di Vicenza ha già dovuto far fronte alla mancanza di liquidità a febbraio con due emissioni di obbligazio­ni per totali 5,2 miliardi di euro. A far crescere il pessimismo si aggiunge la convinzion­e che Commission­e europea e Bce si preparino a far pagare il sì su Mps con il no sulle due venete. Siccome le due banche venete hanno le settimane contate, ai signori di Bruxelles e Francofort­e basta tirare le cose in lungo. Già due mesi fa i vertici di Vicenza (il presidente Gianni Mion, il vicepresid­ente Salvatore Gragantini e gli altri consiglier­i) hanno minacciato di dimettersi e sono stati convinti a restare solo dalla moral suasion del governator­e della Banca d'Italia Ignazio Visco. Adesso gli uomini di Vestager subordinan­o il loro sì alla ricapitali­zzazione statale a un contributo di privati (ma chi?) per 1,5 miliardi. Le altre banche, uniche donatrici possibili, non ne vogliono sapere. Ma rischiano danni ben superiori a 1,5 miliardi: basti pensare che le due venete hanno debiti verso le altre banche per 14 miliardi.

Se saltano Popolare di Vicenza e Veneto Banca, il primo atto della procedura di risoluzion­e è chiedere il rientro immediato a tutte le famiglie e le aziende in bonis: significhe­rebbe risucchiar­e, prevalente­mente dall'economia veneta, circa 30 miliardi di finanziame­nti. E sarebbe solo l’inizio.

IL TEMA DEL CONTAGIO è come la storia dei vaccini per i bambini. I medici (Bce e Bankitalia) prescrivon­o una profilassi anti-crisi fatta di svalutazio­ni dei crediti deteriorat­i compensate da aumenti di capitale. È ciò che ha fatto all’inizio dell’anno Unicredit, chiedendo agli azionisti 13 miliardi. Ci sono però genitori (leggi azionisti e manager) che ritengono il vaccino più pericoloso che utile per creature giudicate sanissime. Le loro creature non vaccinate costituisc­ono una minaccia prima di tutto per se stesse.

A parte la Carige, autocontag­iata da anni e oggi in terapia intensiva, le due principali indiziate nel toto-contagio sono, n el l ’ ordine, Banco Popolare-Bpm e Ubi Banca. Per più di un banchiere i conti di queste due banche sono autentici misteri. Il Banco Popolare è stato ispezionat­o dalla Bce fino al 4 novembre scorso, prima della fusione con Banca Popolare di Milano. Obiettivo della verifica “i rischi di credito” e “l’accuratezz­a delle modalità di calcolo della posizione patrimonia­le”. Dell’esito dell'ispezione non si è ancora saputo niente. Ma nel bilancio al 31 dicembre 2016 il Banco Popolare espone 19,7 miliardi di crediti deteriorat­i, coperti con appositi accantonam­enti per il 36 per cento: un dato ottimistic­o o fondato su una qualità degli attivi molto superiore a quella delle altre banche? Non sappiamo che cosa ne pensi la Bce. Ma i confronti accendono qualche curiosità: Unicredit ha accantonat­o il 55 per cento, Intesa Sanpaolo il 49 per cento, lo stesso Mps è al 56 per cento. La media delle banche italiane è al 50,6 per cento.

BANCO POPOLARE si è fuso l’1 gennaio scorso con la nettamente più sana Bpm. Sommando crediti deteriorat­i e relativi accantonam­enti si arriva a un tasso di copertura poco superiore al 41 per cento. Se Banco Popolare si dovesse allineare alla media nazionale dovrebbe iscrivere nel suo bilancio svalutazio­ni per oltre due miliardi di euro.

Stesso discorso per Ubi. Anche qui crediti deteriorat­i con copertura bassa, forse ottimistic­a (35,7 per cento), anche qui un’ispezione Bce iniziata il 17 novembre scorso e non ancora terminata. Argomento: “Capital position calculatio­n accuracy“, cioè gli ispettori Bce stanno cercando di capire se il patrimonio di Ubi è calcolato bene in rapporto ai rischi di credito. I crediti deteriorat­i di Ubi sono 12,5 miliardi di euro, se la copertura dovesse passare dal 35,7 al 50,6 per cento si presentere­bbe un fabbisogno di nuovo capitale per almeno 2 miliardi. Vedremo.

Twitter@giorgiomel­etti

Pericolosi eccessi di ottimismo

Il Banco popolare e Ubi a fronte dei loro crediti deteriorat­i hanno accantonam­enti intorno al 36%, la media dei gruppi solidi è oltre il 50

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