Totti saluta i suoi primi 40 anni in mezzo al campo
Storia di un “falso nueve” senza una facile eredità
Il paradosso dell’insostituibile Francesco Totti è che l’hanno già sostituito. In campo, almeno. Basta sfogliare l’archivio, contare le mance che Luciano Spalletti gli ha concesso da quando tornò ( gennaio 2016). Cinque minuti qua, una decina là. Mance, appunto. Proprio lui, Spalletti, che ne aveva fatto il simbolo tattico della sua prima Roma in un passato che non passa mai (2005-2009). “Falso nueve”, così scrivemmo. E così brindammo. Ci fu un’estate in cui, come potenziale erede, si fece il nome di Adrian Mutu. La Fiorentina si oppose. C’è chi indicò, addirittura, Miralem Pjanic. Non tanto perché fossero come Totti, ma perché avevano qualcosa di Totti: Mutu, il dribbling: Pjanic, il lancio, le punizioni. Qualcosa. Non tutto.
NEL LIBRO“Il sogno di Futbolandia”, pubblicato da Mondadori nel 2004, Jorge Valdano lo descrive in questi termini: “Credo di non sbagliare dicendo che il talento più cristallino (del calcio italiano, ndr) è quello di Totti. Possiede tutte le qualità per essere un fuoriclasse a livello mondiale. Ha tecnica, im m a g i n azione, carattere, senso del gol e uno spirito di ribellione davanti alla sconfitta che è molto difficile da trovare in giocatori con le sue caratteristiche”. È sempre stata una lotta impari, tra un “Dio” e l’io del tecnico di turno. Una religione contro, al massimo, una missione. Nell’estate del 1995, la Juventus della Triade decise di cedere Roberto Baggio al Milan. Aveva pronto Al es sa nd ro Del Piero. Ecco: i risultati con tribu irono a sanare il distacco. Del Piero convocava allo stadio una folla di fedelissimi; Totti ha trascinato, di volta in volta, un popolo di genitori.
Quando il discorso cade su Francesco, Giampiero Boniperti lo avvicina all’onnipotenza di Valentino Mazzola. E allora, come si fa? Lo si può scomporre, penso alle partite atletiche, molto atletiche, di Wayne Rooney, bandiera del Manchester United che José Mourinho ha appena ammainato; alle sassate di Steven Gerrard, anima e corpo del Liverpool; alle parabole baciate di Andrea Pirlo. “Un dono che ci è stato fatto”: Spalletti vi ha supplito con un centravanti vecchia maniera (Edin Dzeko) e le sgommate di un mediano trasformato in “f al so dieci”, Radja Nainggolan. Senza trascurare l’apporto del tridente leggero (Mohamed Salah, Stephan El Shaarawy, Diego Perotti).
Il passo d’addio con il Genoa – dalla conferenza di Spalletti: “Una fetta importante”, anche se non dall’inizio – suggella un ritiro troppo lungo, e come tale portatore di attriti, veleni, equivoci, mezze frasi e mezzi progetti. La Roma del “dopo” è già nata e, probabilmente, arriverà seconda. Impossibile cercarne un clone sul mercato: Totti ha scelto liberamente di restare prigioniero di una città, di una squadra.
È UN PO’ QUELLO che gli rimprovera Dino Zoff, il ct che lo lanciò in Nazionale (10 ottobre 1998, Italia-Svizzera 2-0 a Udine): “Era completo. Aveva tutto, a cominciare dal fisico. Il problema è che quel tutto lo ha riversato, esclusivamente o quasi, sulla Roma, sull’attività domestica. Peccato. Lo spronavo sempre: Francesco, non accontentarti. Fu secondo all’Europeo del 2000 con il sottoscritto; e campione del Mondo con Marcello Lippi nel 2006, sì, ma solo da gregario, reduce com’era da un serio infortunio. Ripeto: avrebbe potuto dare di più. Ci sono stati due Totti: il marziano a Roma e il diversamente grande fuori confine”.
Se non altro, il nuovo mister (Eusebio Di Francesco) potrà allenare “la” Roma, e non più la Roma “con” Totti, come l’avevano ridotta, o come si era ridotto. Quando si vive in bilico perenne, e spericolato, tra un talento di 40 anni e 40 anni di talento, la caccia al delfino rimane un esercizio presuntuoso e pretestuoso. Francesco, ai suoi bei dì, era attaccante e mezzala, tiranno e leader. È stato tutto: e, in alcuni casi, fin troppo. Perché gli faceva comodo, perché ci faceva comodo.
Nessuno, oggi, vale Totti. Nemmeno il Totti attuale. Ed è questa, di paradosso in paradosso, l’unica buona notizia per la Roma che verrà.
DINO ZOFF
Aveva tutto ma lo ha riversato, esclusivamente o quasi, sulla Roma, sull’attività domestica. Peccato