LA LIBIA E QUELLE POCHE COSE CHE SAPPIAMO
Prima di tutto, mai fare domande. Esempio: vi ricordate dei ventisei capi tribù venuti a Roma da sperdute regioni e in rappresentanza di sconosciute popolazioni libiche? Che si sappia, sarebbero state convocare dal ministro dell’Interno italiano e avrebbero firmato un accordo con Roma. Ecco le cose che non sappiamo: una sia pure sommaria descrizione geografica delle aree e delle popolazioni rappresentate da quelle tribù; un’apprezzamento, sia pure a occhio della forza che insieme rappresentano; un sommario del patto firmato (è di guerra, di pace, con quale missione e quali diritti); una indicazione approssimativa del costo.
E NON SAREBBEstata fuori posto una sia pur vaga indicazione logistica. Erano alloggiati, stanza accanto a stanza, e dovuta sorveglianza di polizia, al Cavalieri Hilton o distribuiti nei vari B&b di Roma in perfetto incognito? La questione sembra modesta solo se non si tiene conto dei seguenti eventi.
Primo. Il ministro dell’Interno italiano ci dice che d’ora in poi le nostre forze (anche militari), la nostra polizia e la nostra intelligence funzioneranno non più in Italia, per scrutinare gli immigrati in arrivo, ma direttamente in Libia e anzi al di là del confine, in Niger. Secondo. Ogni volta che parti diverse (e non necessariamente coordinate) del governo italiano (esempio: Interni e Difesa) dicono “Libia”, non ci dicono quale Libia. E quando parlano di “accordi con i libici” non precisano quali libici. E quando parlano di campi di raccolta (leggi concentramento, luoghi di cupa fama, da cui – testimonia Amnesty International – raramente si esce vivi) non ci dicono dove sono questi campi e se sono a carico dell’erario italiano. Ma proprio mentre ti fanno credere che la questione dei rapporti con la Libia sia affare dell’Italia, apprendiamo che personaggi legati alla strage di Manchester sono stati arrestati in Libia da agenti della intelligence inglese che, a quanto pare, va e viene per conto proprio, nonostante gli accordi stretti a Roma (oppure in Libia, come certe volte ci dicono) con una folla di reali o pretesi capi tribù. Ma restano varie questioni in sospeso. Una è: dove è finito il cosiddetto “primo ministro del governo di unificazione nazionale” Al Sarraj, che governa a malapena una parte della città di Tripoli, e perché non lo troviamo quando i vari servizi europei devono decidere dove e che cosa fare in Libia? E perché il generale Haftar, l’unico che disponga di una divisa militare in Libia e di un esercito (benché mai visto), sta sempre fuori dal gioco e spettatore in attesa? In attesa di che cosa? È davvero uomo dei russi, come si è detto e smesso dire alcuni mesi fa? E poi ci sono gli americani. “Un volo misterioso, uno dei tanti che decollano segretamente dalla Sicilia, senza bisogno di aerei invisibili. Anzi, il modo migliore di passare inosservati è di usare un bimotore con grandi disegni sulle fiancate identico al charter dei vacanzieri”. Cito da La Repubblica , (26 maggio) che ha ricostruito uno dei tanti voli americani da Pantelleria alla Libia, del tutto segreti, del tutto dedicati ad attività di cui non sappiamo nulla, su un territorio su cui i ministri italiani dell’Interno e della Difesa vantano fantasiosamente in Parlamento un controllo e un primogenitura, che evidentemente non esistono. I voli segreti e camuffati di questo tipo, a cura dei nostri silenziosi alleati americani (pronti a sgridarti ma non a informarti) sono molti, quasi quotidiani, ti dice chi ha provato a investigare. Ma nessuno può dire se ci sono a bordo gli uomini di un raid, di una missione speciale, di un evento che non deve attrarre attenzione, e perché.
MA SI VIENE a sapere che trasferte aeree dello stesso tipo (senza ragioni dichiarate, senza notizie sul tipo di trasporto), si sono intensificate anche tra Germania e Libia o tra Stoccarda e Pantelleria. Muovono cose? Preparano eventi? Certo nulla corrisponde alle notizie ufficiali italiane che, per giunta, sono incoerenti e cariche (ogni seconda notizia rispetto alla prima) di correzioni e smentite, tipo: “Soldati italiani non in Niger ma nel deserto”, “Le nostre unità al confine libico Sud” (niente è più incerto al mondo di quel confine), “in cooperazione con la polizia libica” (quale?). Ma restano domande che non sono state neppure proposte. Per esempio qualcuno avrà notato che motovedette libiche (la domanda è sempre: di quale Libia?) hanno cominciato a sparare sui “trafficanti di uomini” (che per definizione non sono mai soli), e avrà fatto caso che i naufragi senza soccorso vicino alla costa libica (con molti morti) sono aumentati dopo le accuse clamorose e il grande processo mediatico contro le Ong. E qualcuno non avrà dimenticato che le motovedette che sparano sui profughi in pericolo (motovedette e armi) erano il dono dell’allora ministro dell’Interno italiano Maroni al caro amico Gheddafi, che ci avrebbe aiutato “a regolare i flussi migratori”. E la storia del misero libico continua.